venerdì 14 dicembre 2007

LA FAMIGLIA GAIF

I Personaggi
Padre: Tommaso Gaif
Madre: Maria Claudia Biancoponte
Figli:
Teo Gaif, 19 anni: Il capo
Melodia Gaif, 18 anni: La cantante
Marta Gaif, 16 anni: La genietta
Mindy Gaif, 14 anni L’atleta: fa sempre la ruota
Mara Gaif, 10 anni: Bada sempre a Tullio (un po’ troppo)
Melissa Gaif, 6 anni: Timida (tanto da farsela sotto)
Tullio Gaif, 2 anni: Il piccoletto
Tina Blind, 72 anni: La nonna

I genitori stanno sempre in viaggio; la loro frase normale è "dobbiamo realizzare il sogno della nostra vita".
E così sono già andati:
A buttarsi dalle cascate del Niagara
Da Roma a Milano in bicicletta impennando
A raccogliere l’immondizia di un’intera città
In barca a remi dalla Francia all’Inghilterra
"E’ il viaggio che abbiamo sempre sognato" dice la mamma, saltando su una strana macchina.
"Sì ragazzi, è proprio così" dice il papà: "il giro d’Italia in macchina a marcia indietro è fantastico".
Intanto i ragazzi sono sotto il controllo di nonna Tina, la mamma di Tommaso, che prepara da mangiare cose assurde, tipo:
Cipolle alla maionese (la sua specialità)
Frittata di uova di struzzo al latte
Polpette macinate al ketchup e marmellata
"Nonna sta preparando le cipolle" sussurra Marta a Teo.
E Teo organizza una spedizione segreta a MacDonald per comprare la cena mentre Melodia, che parla sempre cantando, intona:
"voglio mangiare tutto il mese
le cipolle alla maionese"
"Ma che sei scema!" dice Mindy; "quelle robe fanno schifo!"
"Voleva soltanto fare la rima" dice Marta.
Teo aggiunge: "Beh, io vado"
"Compra qualche cosa pure per noi!" dice Mindy; "per me, mi raccomando panino integrale con yogurth e frutta che se no non riesco a fare la ruota" dice ruotando.
Teo salta sulla sua macchina, targata <>, e sgomma via.
"Bambiniiiiii" chiama la nonna.
"Mia cara nonnina
non sono una bambina", intona Melodia
non posso ora mangiare
perché devo cantare".
"Io devo finire di studiare!" dice scappando Marta.
"Sono a dieta" dice Mindy.
"Devo cambiare Tullio" dice Mara.
"Non posso venire, mi sono fatta la pipì sotto" dice Melissa.
"Devo andare insieme a Mara" dice Tullio.
E così nessuno va a mangiare le cipolle.
Dopo una mezz’oretta Teo ritorna sgommando.
Apre di scatto lo sportello e le buste cascano per terra; proprio in quel momento Marta vorrebbe aiutarlo ma il cellulare le trilla con la classica musichetta che le ha salvato la nonna Tina e cioè Blind Blind Blind (come il suo cognome).
Preme il pulsante verde. "Pronto?"
"Pronto Marta, sono mamma e… come dire… ci hanno … arrestato, perché andavamo a marcia indietro sull’autostrada…"
"Cooooomeeeee? Doooooooveeee?" chiede Marta.
"Qui, no?"
"Qui dove?"
"Non lo so, qui… insomma"
A quel punto interviene un poliziotto.
"Pronto sono l’agente Romano: questi due pazzi andavano in autostrada a marcia indietro…"
"Ma no!" la mamma deve aver strappato il telefono al poliziotto "Stiamo facendo il viaggio che abbiamo sempre sognato. …"
"Mamma forse è meglio che ti accorgi che il poliziotto ha ragione" interviene Marta.
A quel punto, però, casca la linea.
"Che succede?" chiede Teo con le buste del MacDonald in mano.
"Non ho capito molto" risponde Marta. "Devono aver arrestato mamma e papà perché andavano a marcia indietro in autostrada"
"Dove?"
"Non so"
Blind Blind Blind
Stavolta è il cellulare di Teo a squillare. La suoneria è la stessa.
"Papà!" lo rimprovera Teo, "che avete combinato? Ma davvero siete andati a marcia indietro in autostrada?"
"Sì" dice velocemente il papà, "ma adesso…" e cade la linea.
"Affari loro" dice Mindy facendo capriole sullo zerbino.
"Basta saltellare
vai a studiare,
come si fa
a liberare mamma e papà?"
canta Melodia.
"Sta’ zitta tu che canti" dice, arrivando Mara, spingendo la carrozzina con sopra Tullio, che dorme.
"Mammina di Tullio, spostati" dice Melissa; "sapete, dovrei andare al bagno: il nostro vicino di casa, quel bambino di otto anni, biondino, mi ha guardato e… insomma, non vorrei farmela sotto dall’emozione."
Intanto però… se l’è già fatta sotto…
Tullio ha a portata di mano le mutandine di ricambio e dice "Se’ pù gande di me e fatta sotto. Cema!"
"Scemo sarai tu, sgorbietto!"
"Ehi ragazzi c’è un problema! Hanno arrestato mamma e papà e bisogna cambiare la situazione" interviene Marta.
"Io per adesso vado a cambiare Melissa" dice Mindy, per una volta senza fare la giravolta..
Risquilla il telefono.
Blind Blind Blind
A trillare stavolta è il telefono di Melodia.
"Ciao mammina ah sei tu
come mai ti sento giù?
Vengo a prenderti laggiù"
Poi riattacca.
"Ecco cosa dobbiam fare
per poterli liberare.
Tu Teo io Melodia
dobbiamo andare dalla polizia"
Teo e Melodia partono con la macchina di Teo sgranocchiando due McBacon.
"Ora sono io la maggiore! Tutti a posto" urla Marta, approfittando della partenza di Teo e Melodia.
Eo eo eoooow, ecco il suono della chitarra di sua nonna. "Melodia dove sta? Le devo far sentire la mia nuova melodia!"
Eo eo eoooow continua la nonna.
"Sta in bagno" la convince Mindy facendo una spaccata sulla piscinetta di Tullio.
Intanto Teo e Melodia arrivano dalla polizia, all’uscita dell’autostrada.
Con un walkie- talkie Melodia si mette in contatto con Mara.
"Dimmi tutto" risponde la bambina.
Ma a quel punto Teo prende il walkie-talkie e dice: "Ho preso io il walkie-talkie perché ci mettiamo troppo tempo se quella si mette a cantare… Abbiamo liberato mamma e papà. I poliziotti si sono raccomandati che da oggi in poi devono sempre uscire accompagnati. Meglio se da uno dei figli."
Teo, Melodia, mamma Maria Claudia e papà Tommaso tornano a casa.
Teo guida la macchina e decide di portare il papà a lezione di guida.
Melodia per la felicità resta per una volta senza parole.
Marta cerca di trovare una pillola per calmare l’entusiasmo di Melodia.
Mindy fa una lezione di yoga alla mamma.
Mara asciuga le lacrime a Tullio che piange per la felicità.
Melissa si fa la pipì sotto per l’emozione (del resto quello è il suo hobby).
Tullio piange dalla felicità.
Eo eo eoooow
Nonna Blind arriva con la chitarra e dice: "Da oggi in poi non cucinerò più male: in cucina sarà tutta un’altra musica!"
Eo eo eoooow
THE END
Del resto, come potrebbe finire una bellissima favola, senza una parola di sette lettere come i sette fratelli Gaif?
T E R M I N E

lunedì 26 novembre 2007

PICCOLE

Doris e Iris erano due amiche che nello stesso giorno hanno partorito…
Ora vi racconto.
“Che meraviglia di bambina !” disse Doris rivolgendosi a sua figlia e decise di chiamarla Miley.
“ E la mia Ginevra, ti piace?” le chiese Iris. Doris rispose di sì e le mamme cominciarono a chiacchierare.
Ginevra si rivolse a Miley: “Che nome brutto che hai, mi ricorda la parola maiale!”
Miley invece le rispose: “Ginevra invece a me piace, perché non mi ricorda niente di particolare”
Ginevra chiese: “Dove è andata a finire Ginevra, la moglie di Re Artù? ”
“Beh, di certo non sei come quella” disse Miley.
Iris prese in braccio la sua Ginevra. “Ciao, Doris” e poi disse con la voce a cantilena: “Ciaaao Miiiiley, ci rivediaaaamo domaaani”
Prima che Doris e sua figlia se ne andassero via anche loro, le due mamme si misero vicine, a chiacchierare un altro po’: “Domani va bene la pizza margherita?” chiese una delle due. “Certo”, rispose l’altra e nello stesso istante, attimo, secondo, minuto, ora, giorno, mese e anno (e secolo e millennio, ovviamente, per non dire eternità) Miley sussurrò a Ginevra: “Tua madre ha una bella voce in falseeeetto”.
Poi le due famiglie si divisero.
Il giorno dopo, infatti, si rividero.
“Ciao Ginevrì” disse Miley.
“Ciao Mà” disse Ginevra, e aggiunse: “stavolta il nome Miley assomiglia un po’ a millennio”.
“Il tuo mi ricorda la moglie del ginocchio”.
“Se siamo qui per prenderci in giro, io ti dico che ho una sorella che ha otto anni e che si chiama Maria-Bianca, così almeno non la puoi prendere in giro: Bianca significa Bianca”
Invece Miley la sorprese dicendo: “A me sembra il soprannome di Biancaneve”
“Ancora leggi le favole?” disse Ginevra. “A me piacciono il romanzo dei Promessi sposi e cose così”
“E i Cavalieri della Tavola rotonda, il libro dove c’è Ginevra? E poi io mi chiedo, perché proprio rotonda e non quadrata? E poi che tovaglia usavano per la tavola rotonda, di tessuto o di plastica?”
Ginevra non rispose e, anzi, si addormentò.
“Uffa, si stava così bene dentro la pancia di mamma” sbuffò Miley; “faceva caldo; si dormiva così bene; potevo restare lì dentro e frequentare la scuola materna, quella elementare, le medie, le superiori e l’università e poi uscire dalla pancia di mamma direttamente a 22 anni! E ora ci tocca rifrequentare tutte queste scuole; e poi a chi parlo, visto che Ginevra si è trasformata in un ghiro d’inverno? Almeno dentro la pancia mangiavo il cibo già masticato da mamma e non facevo sforzi; qua fuori mi danno il latte coi biscotti a pappetta. E poi dentro la pancia l’unica cosa che non mi piaceva era quella specie di tubo che legava me e mamma. Volevo essere un po’ più libera e sognavo di uscire dalla pancia e correre dentro un’altra pancia senza tubi e incontrare altri bambini, liberi come me… ma soltanto quelli simpatici, Ginevra compresa. La cosa più buona è che bevevo era il succo di frutta banamela. Mamma ne andava pazza.”
A quel punto Ginevra sbadigliò e si alzò con un occhio semichiuso e l’altro da star.
“Cerco di dormire. Potresti tàcere”
“Si dice tacére, ingorante!”
“Si dice ignorante, ignorante!”
Le due piccole si misero a urlare come matte e non si capiva perché. O meglio, loro lo sapevano, ma gli altri non lo capivano.
Poi Ginevra disse a Miley: “Attiriamo l’attenzione di mamma, dicendo ‘Mamma!’”
“Banamela!” esclamò Miley.
“Cioè?”
“Ha tanti significati:
1. Succo di frutta mezzo banana e mezzo mela
2. Insulto, come a dire torsola o salama
3. Esclamazione di sorpresa
4. Esclamazione del tipo Mannaggia i pesciolini, o altre cose che nuotano”
“Tipo mannaggia le mille balene in gabbia!”
“Allora mannaggia ai nasi soffianti!”
“Ma i nasi soffianti non nuotano!”
“Allora mannaggia ai delfini spruzza-spruzza”
“E poi mannaggia gli squali sdentati”
“Va bene abbaiamo capito”
“Ma che sei un cane?”
“Perché?”
“Hai detto abbaiamo, banamela che non sei altro!”
Le due piccole erano senza fiato per tutti le cose che si erano dette.
Alle mamme sembrava di sentire solo gnè gnè, uè uè, èè èè e lagne così, ma loro tra loro si capivano benissimo.
Anzi avevano deciso di stupire le mamme dicendo le loro prime parole.
“Mamma” disse Ginevra.
“Banamela!” disse Miley.
Doris e Iris si girarono con le bocche aperte come due buste di patatine aperte.
Iris balbettò: “Ma… ma … ma … Gi…Gi…Ginevra ha detto mamma”
E Doris: “Ma… Ma… Miley ha detto Banamela!”
“E che significa?” chiese Iris.
“E che ne so io” disse Doris, “forse parla dei succhi di frutta che a me piacciono da pazzi.”
Iris prese in braccio Ginevra: “Ma tu… tu… tu… tu…”
E Ginevra: “A mà e che è sto tu tu tu. E mica so’ un telefono!”
Doris prese in braccio Miley: “Piccola banamela di mamma”
E Miley: “Grande banamela di Miley”
Ma le mamme capivano ancora solo gnè gnè; riuscivano a capire solo mamma e banamela.
Per festeggiare Doris e Iris decisero di andare al bar.
“Succo di banamela per tutte?” chiese Doris.
“Sìììììì” dissero in coro Iris e le piccole.
E si capì sììì, senza dubbio, non gnè gnè.
Le piccole andarono a finire sul giornale per tutte le parole che dicevano. Infatti a così pochi giorni nessun bambino aveva mai detto le parola banamela.
Ginevra e Miley saranno amiche per sempre, banamela dopo banamela.

mercoledì 31 ottobre 2007

LA BAMBINA PIU' SCATENATA DEL MONDO

Igra da piccola era molto strana.
A tre anni, quasi quattro, aveva fatto un balletto con sua madre davanti a tutti i cittadini.
Sua madre era soprannominata Ballerina di Discoteche Giramondo; si vestivano con strani vestiti di stoffa e anche di velo e avevano ombrellini con i brillantini.
Igra si era veramente preparata molto, ma il papà Giorezio amava molto i soldi, quindi aveva fatto in modo che questo balletto costasse tremila Euro per tutti quelli che vedevano il balletto.
Verso i cinque anni, Igra si iscrisse alla scuola di danza; era una pasticciona: un giorno si è rotta un occhio  ,un altro si è rotta una mano e un altro un orecchio .
E poi il naso, un piede, un bel buco nei capelli da cui faceva capolino un bernoccolo e alla fine il collo .
Igra nel passeggino non stava mai ferma; quindi la mamma la portava in bicicletta.
Igra le rompeva il seggiolino della bici e la mamma le ricomprava continuamente seggiolini  .
Era un disastro!!!
Svuotava tutti i negozi di seggiolini.
Intanto Igra, mentre la mamma non se ne accorgeva, sgonfiava le ruote della bici.
La mamma era disperata, ma dopo una sua amica della scuola materna, che aveva incontrato al supermercato (la mamma di Angelica) le diede un consiglio: non fare quello che diceva Igra . 
Funzionò
Sì, funzionò. E così si risolse il problema a vista  d’occhio
Igra, a scuola, era molto vivace  tanto che un giorno rovinò tutta l’aula.
Appassionata dalla chitarra elettrica, chiassosa come lei, spaccò tutti gli oggetti ballando sopra di essi, con la chitarra, molto più grande e grossa di lei e a mano a mano  si rompeva.
Che vi pensate? Che almeno una cosa buona c’era (cioè che cantava bene)?
Noooo! Era più che stonata.
Cantava solo con la sua vocale preferita, la i di insopportabile e di Igra!
Quindi diceva la i, prima bassa e poi alta, da fare le crepe ai muri.
Igra era + o -, ma anche x e : , buffa in quanto ad aspetto, perché non si toglieva mai il suo ciuccio al succo di vaniglia a forma di ragnatela , con gli elefanti sopra che ci dondolavano.
Quindi Angelica li fabbricava in cambio di andare al supermercato a comprare meloni e frutti vari, pulire la casa in modo che sia diversa, stampare i fogli con disegni assurdi, tipo un maialino mezzo rotto, un computer di fango o un bracciale attorcigliato come un serpente.
Igra calmò il vizio di mettere il ciuccio, mettendosi un pannolino o per sciarpa o per cappello oppure al suo posto.
Igra, un giorno di Pasqua, ahimè, aveva fame e si sa che Igra quando ha fame, di guai assai ne combina.
Il papà, Giorezio, indovina sempre come sta la mamma: se sta tranquilla vuol dire che Igra non ha fame; se invece sta arrabbiata Igra ha sicuramente fame.
La mamma di Igra, un giorno, per non fare piangere per troppo tempo Igra, le fece il latte freddo, perché a Igra non piaceva il latte caldo. Ma Igra sputò il latte e sputò tutto in faccia alla madre!
Aveva cambiato di colpo gusto!
Ma il problema fu grande perché il biberon sfuggì dalla mano della mamma di Igra e bagnò le mura colorate delicatamente e i fogli dove c’erano scritte le clienti che dovevano tagliarsi i capelli dalla mamma, che era parrucchiera.
E volete sapere come hanno fatto a fotografare la scena? E’ semplice: il papà voleva fotografare Igra mentre beveva il latte al biberon, ma si è sbagliato e ha fotografato l’accaduto.
Igra aveva saputo che a san Valentino si facevano dei dolcetti e ne preparò uno che sembrava avere un aspetto molto appetitoso.
Tutti volevano assaggiarlo, ma aveva un odore però… insomma tutti quelli che l’assaggiavano dicevano che era buono per fare contenta Igra, ma dopo vomitavano.
Allora Igra capì che non era buono il suo dolcetto e andò nel bosco, che inoltre sta vicino a casa sua e incontrò una scimmietta.
Igra le diede il dolcetto e la scimmia esclamò “crc… crc… bleah!”. Allora, come aveva fatto per il biberon, era contenta perché tutti dicevano che il suo dolcetto era buono e invece era cattivo.
L’arrivo di un fratellino aveva fatto appassionare Igra a, indovinate un po’? Le storie di due fratelli (Mark e Mary) che volavano su un aeroplano.
A Igra piacevano tanto perché ogni volta andavano a sbattere e la storia finiva male, ma stranamente poi non schiattavano mai (e questo a Igra dispiaceva un pochino).
Comunque tra tre giorni ci sarebbe stata la nascita di suo fratello e Igra disse a sua madre che voleva farlo chiamare Mark.
Ma proprio quando stavano portando il fratellino a casa, guardando Igra il fratello fece un verso strano “eyè eyè”.
A Igra faceva pensare un po’ a bebè; “Mamma ho cambiato idea” disse quel giorno, ma quando stava per dire il nome ‘Bebè’ dalla sua bocca uscì, chissà perché, Egè.
“Sì Egè” ripensò Igra.
Avendo cinque anni e mezzo di differenza, Igra pensò di portarlo in astronave.
“Non hai la patente neanche per la bici senza rotelle” la prendeva in giro il papà, “e vuoi portare in astronave Egè!”
Una settimana dopo, la mamma stava stendendo i panni fuori dal balcone al piano di sopra e Igra stava in cucina con Egè.
Naturalmente Igra, pensando che suo fratello non aveva ancora mangiato la colazione, avesse bisogno di mangiare.
Ahimè se fossi stata io il fratello…
Comunque lo portò in giardino, preparando un goccio di tè freddo (lei lo chiamava così, ma in verità era acqua calda con il limone).
‘Fa niente’ pensò Igra ‘tanto non è mica come me’.
Il fratellino faceva versi strani; avendo soltanto una settimana non poteva che fare gnèèè e uèèè e Igra, stanca di non capire quello che diceva, si arrabbiò e per caso diede una spinta alla carrozzina.
La carrozzina cominciò a correre in discesa, con Igra che ci restava attaccata.
“Carrozzina, aspettami, dove stai andando?” urlava Igra.
Poi se la prese con il fratello: “Ma dove vuoi portare la carrozzina?”
Egè stava per piangere.
Alla fine della discesa c’era una piccola salitella, proprio vicino al garage dove stava arrivando papà Giorezio con la macchina.
La carrozzina arrivò davanti al garage e per caso un bambino che passava di lì attaccò un palloncino più grande della carrozzina e di Igra e la velocità e il palloncino li portarono con facilità in aria.
“Oh finalmente stiamo sull’astronave” sospirò Igra, non capendo perché il fratello non le rispondeva mai.
“Vabbè, penso che a te non importa” disse rivolgendosi a Egè.
Il fratello, rimasto con la bocca che sembrava più come una carta accartocciata e strappata con un buco in mezzo (la bocca aperta), fece “iiiiiiiii”.
“I di Insopportabile” capì allora Igra e si rimise a cantare con tranquillità la i, prima bassa e poi alta.
Il papà, che vedendo volare la carrozzina, il palloncino, Igra e Egè, era naturalmente svenuto, raccontò con difficoltà il tutto a sua moglie Octactic, che cercava di svegliarlo.
Quando furono ben in aria, Igra si ricordò che per cantare ancora meglio, aveva bisogno della sua chitarra marrone, come il palloncino.
Igra lo prese e sentendo che era così cicciotto, cercando di suonarlo lo fece scoppiare.
“I di Incrediiiiibiiile” urlò Igra, mentre atterravano in giardino.
E proprio come Mark e Mary, incredibilmente non si fecero niente.
Se vedete passare da queste parti Igra, intervistatela e chiedetele altri fatti.
Scriveteli poi qui sotto:

domenica 9 settembre 2007

HARTUR E IL CASTELLO ABBANDONATO

Hartur era un dolce bambino che aveva una gatta bianca che si chiamava Jessick; se non fosse stato per il suo collare blu con tre stelle d’oro, la si sarebbe potuta scambiare con lo sgabello dove si siede sempre.
Il giorno prima Jessick ha partorito due gattini bianchi.
Il giorno dopo subito la famiglia di Hartur andò dal veterinario, che rispose alla loro domanda: “Sono due femmine!”.
‘Debby e Ursula!’ pensò Hartur.
Poi gridò: “Le chiamerò Debby e Ursula!”
A casa Hartur mise il collarino con scritto miao in rosso con lo sfondo arancione a Debby e un collarino con il mare e il sole a Ursula; poi la mamma di Hartur accese la tv.
Un signore in tv disse: “E’ questo il posto dove Rebby scrisse il suo primo racconto e poi, purtroppo, morì”.
Era il telegiornale.
La mamma chiese: “Perché non dai la pappa a Jessick, Debby e Ursula?” e poi aggiunse: “adesso vieni a mangia…”
Hartur la interruppe: “Cooosa? Vorrai dire ‘dai la pappa a Jessick, Debby e Rebby…’”.
Il papà disse: “Ma dai, già le hai cambiato nome”
Il pomeriggio era molto faticoso per Hartur: tutto il giorno a mettere le codine a Rebby e il ciuffetto a Debby. E sai quanti graffi!
Non si erano accorti che pioveva; si dice che quando piove la padrona o regina del castello di fronte a casa di Hartur si arrabbiava.
Di notte piovve ancora; Debby e Rebby dormivano, hai voglia se dormivano.
Hartur e Jessick no, non dormivano affatto.
Si guardavano…
A un certo punto Hartur prese una culletta (la sua) e ci mise le tre gatte; si mise un giubbotto col cappuccio, gli scarponi, prese la culla, le chiavi che stavano sul tavolo della cucina e uscì.
Jessick impediva alle sue piccole di uscire; ad Hartur il cuore batteva a forse novemila, mentre si avviava verso il castello.
Eh già… volevano esplorarlo…
C’era un minuscolo laghetto, proprio davanti al castello, lontano un metro da casa sua.
Ma c’era un corto ponticello che quando si chiudeva faceva anche da porta.
Hartur era troppo indeciso ad andare nel castello; gli sembrò che la sua casa piangesse così chiese: “Si possono fare entrare gli animali?”
Un filo di vento rispose.
Hartur entrò: davanti a lui un pentolone panciuto e nero. Dietro al pentolone, una sedia di velluto blu dai lati e le gambe dorati.
Alla destra della lettrice /del lettore un camino. Il resto tutto beige e pieno di ragnatele.
Jessick, Debby e Rebby uscirono e Jessick avvertì con un miao innocente che loro sarebbero state sempre vicine al padrone.
Hartur lo capì; sulla sedia c’era un foglio
1996 3 giugno ciao casa ti devo abbandonare
da Laila (età 5 anni e mezzo)
Deve essere che la bimba, Laila, oggi, adesso, ha 17 anni; ‘magari si è trasferita e è andata in un’altra casa’, pensò Hartur, con la culletta alla sua sinistra e i gatti immobili alla sua destra.
Non si erano accorti che c’era una scala; le gattine si rimisero dentro alla culletta e decisero di osservare il castello da dietro il velo che copriva la culla.
Hartur prese la culla e salì le scale.
E a un certo punto la scala venne illuminata da un fulmine  e cadde uno scheletro dal tetto!
Arrivati al piano di sopra si sentirono dei passi...
Poi arrivati davanti a tre porte, i passi si sentirono più fitti verso la porta al centro…
Il bimbo si avvicinò verso la porta al centro; Rebby e Debby strillarono: “MIA’!”
Ma la mamma con un mao a tono di voce basso fece capire alle sue piccole che non dovevano miagolare.
Hartur aprì la porta e…
… uscirono un milione o forse un miliardo di pipistrelli.
Debby e Rebby si trattennero.
Lì c’era un letto, con bel po’ di ragnatele.
     
     
e dalla coperta celeste.
Lì vicino c’era una scrivania arancione, anche essa piena di ragnatele.
La camera puzzava di chiuso; c’era una finestra quadrata chiusa con le persiane.
Poi andarono in camera, probabilmente dei genitori.
Letto rosso, libreria verde, finestra chiusa e triangolare  .
Sul davanzale c’era un altro foglio:
Caro castello, ho trovato una casa in città, più vicina al mio lavoro. Ciao.
I genitori di Laila
(Milo e Micol)
Vicino alla libreria scapparono un po’ di lucertole; poi Hartur aprì un’altra porta e si trovò in bagno. Anche là puzzava di chiuso, perché la finestra rotonda era chiusa.
Dal water, dal lavandino e dal bidet uscirono un mucchio di … zanzaroni!
Buttarono così tanta acqua da formare una pozzanghera.
Hartur scivolò e finì a terra; Debby e Rebby scacciarono i zanzaroni e Jessick gli fece forza e Hartur si alzò.
Hartur scese le scale e tanti UUUUUUUUU lo accolsero.
Una testa rotolò… un fulmine la illuminò… era una… zucca di Halloween!
Si rimise il cappuccio ed uscì con la culletta in mano.
Adesso gli sembrava che la sua casa ed il castello sorridessero.
Quando il bimbo rientrò in casa fece svegliare i genitori; erano le otto di mattina!
Le tre gatte si misero sulla testolina di Hartur.
Il papà e la mamma gli chiesero dove era stato.
Lui, con uno sbadiglio, raccontò tutto, anche i minimi dettagli.
Smise di piovere e spuntò il sole.
Ora Hartur poteva dire a tutti che il castello vicino a casa sua era semplicemente un castello abbandonato dal 1996.

giovedì 2 agosto 2007

L'AVVENTURA SUL LAGO

Lidy si trovò sul molo. “Cosa sto facendo sul molo?” si chiese Lidy.
Poi si stropicciò l’occhio destro e si ritrovò sul suo meraviglioso letto rosa.
Davanti a lei c’era la sorellina più piccola, Emilia, in un letto, anche il suo letto rosa, ma molto più piccolo e con la ringhiera.
In mezzo ai due letti c’era un comodino con sopra una lampada e due armadi grigi, uno più piccolo per Emilia ed uno più grande per Lidy.
Vicino ai due armadi la scrivania di Lidy.
Lidy era la seconda delle quattro sorelle Pizich.
La prima era Linda; quindi Lidy, Greta ed Emilia.
Lidy stava in stanza con Emilia, perché Linda non la sopportava; poi Linda e Greta stavano in sue stanze divise.
La stanza di Greta aveva un bel letto verde, una finestra triangolare, una scrivania blu e un bel comodino bianco vicino al letto con una lampadina gialla.
Linda aveva un letto bianco, una grande scrivania marrone, una finestra a cerchio.
Lidy quindi si svegliò e quando vide che Emilia stava giocando silenziosamente tra le due palme del lettino, le prese un colpo.
“Oh no! Emilia si è svegliata” disse con il groppo alla gola. “Meglio fare silenzio, altrimenti…”
Come non detto…
La porta della camera si spalancò: “ALLLOORAAAA GENTEEEEE SVEEEGLIAAAAAA!!!!!”
A Lidy sbattè il cuore a più di novemila all’ora; poi andò verso l’orecchio di Greta: “Emilia è sveglia; se si accorge che anche noi siamo sveglie, siamo fritte!”
Anche a Greta venne la stessa sensazione di Lidy.
Infatti, la bimba se ne accorse… “Siamo lesse” disse Greta “se n’è accorta, tra un po’ comincerà a urlare ‘HO FAMEEEE’”.
“Tutta colpa tua, Greta”
La bimba incominciò a gridare: “HO FAMEEEEEEEEEEEE!!!!!”
Per fortuna arrivò la mamma; la prese in braccio. “Voi andate a svegliare Linda, vi aspetto in cucina” disse la mamma.
“E’ impossibile” dissero appena arrivate davanti alla stanza di Linda. “Hai visto Lidy, con tutto questo chiasso Linda non si è ancora svegliata. Lidy disse: “Vuoi vedere che sotto il pigiama si è messa già il costume per il giorno successivo?”
“LIIINDAAAA!!!” urlò Greta.
Lidy era andata a prendere una certa cosina dentro la stanza di Greta.
Ognuna aveva uno scatolone blu vicino al proprio armadio. Linda possedeva lì tanti telefonini di peluche, Lidy, Greta ed Emilia avevano dentro lo scatolone dei giochi.
Lidy corse in camera di Linda e riempiendo di aria le guance soffiò con tutta la forza che aveva la trombetta premendo due o tre tasti a caso.
Niente da fare! La dormigliona non si svegliava.
Linda aveva dodici anni; Lidy nove, Greta sette e Emilia tre. Linda saltò fuori dal letto levandosi il pigiama.
Aveva ragione Lidy… Linda aveva già la minigonna rosa shocking e sopra il costume.
Andarono in cucina, bevvero il latte, mangiarono i biscotti.
La mamma disse: “Tutte d’accordo sul fatto che oggi andremo in canoa? Però vorrei che imparaste a andarci da sole”.
Senza pensarci due volte tutte dissero: “Sìììì”
Così andarono al lago e presero la canoa.
Il lago sembrava persino pulito, ricordando che era il famoso lago di Firada, il lago più pulito del mondo; ci si poteva pure fare il bagno. Non è tanto profondo.
Ogni cartaccia che buttano quegli stupidi dei ragazzetti non inquina per niente, si disintegra e fa diventare l’acqua più pulita.
Dopo un po’ di minuti, le quattro sorelle andarono al largo.
“Ci siamo perse” esclamò Emilia.
“Infatti ci sta una strada col ponte, lassù” disse in dramma Greta.
“Uuuuuu-uuu-ulp” disse tremando Lidy.
Poi cercò di sapere da Linda che ore fossero. Entro le dieci e mezza, infatti, dovevano tornare a riva.
Linda annunciò che era mezzogiorno meno un quarto.
“Ci siamo perse” disse in disperazione Emilia.
“Non esagerare” disse Greta.
Infatti Emilia stava saltando dalla paura.
“Secondo me fa bene a esagerare” disse Lidy.
“Pronto Martine… sì… come stai? Tutto a posto? Hai visto c’è il concerto di Rino Lucani? Speriamo che mamma mi ci manda… Tu vai con tuo padre? E Betty?.. hai visto che brutto vestito aveva? Sembrava uno spaventapasseri! Va bene… non sto a fare niente di speciale, io… Ok ci sentiamo dopo”. Linda riattaccò.
Le tre sorelle la guardarono con la bocca aperta.
“Tuuuuuu, hai un cellulare?” urlarono tutte insieme.
Linda disse: ”Sì, perché?”
Lidy la sgridò: “Come perchéééééé?” Emilia disse: “Potresti chiamare mamma e dirle che ci siamo perse”.
“Piccolo genietto” disse Greta, “come se non lo sapesse”.
Poi Lidy andò vicino a Linda per vedere con chi stava parlando.
‘Conclusa telefonata 321 654987 (Martine)’
“Come ‘conclusa telefonata’? Al posto di parlare con questa Màrtine, perché non chiami mamma?” chiese Lidy.
E Greta la sgridò: “Al posto di scrivere Mew Mew sul telefonino, potevi scrivere ‘Help’”?
“Perché” chiese ancora Linda, “mica ci siamo perse…”
“Lidy…” chiese Linda.
Lidy stava con Greta e Emilia in cerchio per non far sentire niente a Linda.
E Linda disse: “Io conosco quella Martine; un giorno si sono incontrate a scuola e da quel giorno parlano sempre della professoressa di tedesco Inga”.
Poi videro un’isola in mezzo al lago.
“Qua non si prende la linea” disse Linda cercando di chiamare la madre.
Poi sbarcarono sull’isola.
Lì due gatti di pietra giganti di profilo come gli egiziani le invitavano ad entrare dentro una grossa caverna, dove c’erano disegnati degli strani marziani.
Le bambine scesero scesero le scale le scale le scale le scale. Ma quando finivano quelle scale?
Arrivarono a una specie di molo.
C’era un sommergibile.
Lidy pensò: “Che strano, un molo…”
Le bambine salirono sul sommergibile. Quando furono salite tutte, senza premere nessun tasto, il sommergibile partì da solo.
In qualche secondo si trovarono sulla riva, dove la mamma le stava aspettando.
Linda a quel punto prende il cellulare e chiama la mamma.
“Mamma sai che c’eravamo perse?” dice Linda al cellulare.
La mamma rispose e rise.
Il sommergibile sparì, dopo aver salutato con le antennine che aveva.
Lì capirono che c’era una via di passaggio; e infatti qualche giorno dopo al telegiornale avvertirono la gente del fatto.
Le quattro sorelle Pizich si persero altre volte per fare sempre nuove scoperte!
THE END

“Stupido The end!” disse Lidy. “Non voglio che finisca così la favola!”
Linda diede un calcio alla T di The end e riuscì a cacciarlo dalla pagina.
Greta abbassò la E di end saltandoci sopra a piè pari.
E Emilia cancellò la H, la E di The, la N e la D con la testa col bianchetto al posto dello shampoo, mentre Lidy scriveva
LA FINE

venerdì 27 luglio 2007

MINA & AURORA

Mina stava leggendo il libro Lilli e il vagabondo. Era arrivata al pezzo in cui Lilli diceva “Io mi chiamo Lilli. E tu?”
Poi Mina si bloccò e smise di leggere. Aveva dato uno sguardo al foglio che aveva scritto lei: “Ore 7.00 nell’Acquapark del villaggio turistico” e pensò: ‘oh no, domani riandrò a quel noioso Acquapark del villaggio turistico”.
Il giorno dopo naturalmente il vecchio signor Jeff Carllers stava come al solito rannicchiato sulla sua poltrona di velluto rossa. Mina ricordò che il signor Jeff Carllers parlava con loro soltanto quando doveva dire ‘E’ ora di pranzo’, oppure ‘E’ ora di entrare in piscina’ oppure ‘E’ ora di uscire dalla piscina’. In più sembra che gli cresca un pelo di barba ogni secondo.
La bambina sollevò la sua borsa, naturalmente molto pesante.
Al solo pensiero di cosa c’era dentro la borsa le venivano i brividi; doveva portare il pranzo, i costumi, i giochi, il phon, gli occhialetti, la crema, un vestito da basket, uno da pallavolo, e un tutù rosso e bianco per il balletto. In più, alle sei di sera, dovevano tornare a casa a farsi la doccia perché non c’erano gli spogliatoi e quando si dovevano cambiare il costume si nascondevano da qualche parte del prato della piscina.
Poi si avvicinò a due bambine, una con i riccioli rossi e l’altra con i capelli biondo-arancioni.
“Ciao. Posso giocare con voi?” chiese Mina.
“Noi ci chiamiamo le No-Dentista. Io sono Sara e lei è Celeste” disse la bambina con i riccioli rossi e aggiunse: “E tu non puoi giocare con noi perché tutte le cose che fa il dentista noi non le vogliamo e tu hai l’apparecchio!”
Celeste, con una smorfia, soggiunse: “Già!”
Mina si allontanò e quando fu a un metro di distanza da loro urlò: “Allora io mi chiamo la Sì-dentista!”
Poi vide quattro sorelle ugualissime, la più grande Zelda, la seconda Zara, la terza Zaira e l’ultima Zoe.
“Magari potrò giocare con loro” mormorò Mina.
Zaira trillò: “Oggi propongo di giocare a campana”.
Le altre, felici, risposero di sì. Mina si avvicinò “Posso giocare con voi, mi chiamo Mina…” mormorò Mina.
“No!” la bloccò Zara con voce da stupidina, e trillò anche lei, “perché inizi con la M e noi con la Z!”
Mina oltrepassò anche le zeta e le sgridò: “Allora io mi chiamo Zina!”
Poi arrivò davanti a una bambina, mai conosciuta in vita sua; aveva gli occhi nascosti sotto la frangetta castana.
Mina provò a dirle: “Posso giocare con te?”
Lei alzò la testa e gridò con tutta la voce che aveva: “Noooo! Mi sei antipaaaticaaa!”
Dopo quel grido Mina alzò le mani come se qualcuno le aveva detto ‘Mani in alto’ e pensò ‘Ma chi la conosce quella; come fa a dire che sono antipatica se non mi conosce…”
Al vecchio Jeff era cresciuta la barba che ora toccava pelo pelo i piedi.
Lui dopo aver fumato la pipa disse “E’ ora di andare in piscina!”
‘Finalmente’ pensò Mina, ‘magari lì incontrerò un’amica. Ho ancora quelle due collane…’ Pensò così alle due collane col ciondolo a forma di cuore.
Intanto in piscina vide un’altra bambina triste come lei. “Tu sei un’altra di quelle che non vuole giocare con me per chissà quale motivo?” chiese Mina preparata ad aspettarsi un ‘già, è proprio così’.
La bambina rispose: “No! Io voglio giocare con te, se tu vuoi giocare con me! Piacere, mi chiamo Aurora… Ehi, ma anche tu hai l’apparecchio” concluse, spalancando la bocca per farle vedere l’apparecchio.
“Sì che ho l’apparecchio” rispose Mina. “Piacere! Mi chiamo Mina” disse spalancando anche lei la bocca.
Poi ragionò: “Ma tu non sei del villaggio turistico?”
“No, io ci vivo da due anni qua” rispose Aurora, “ma quando dopodomani compirò undici anni tornerò a Sabbiafina, dove sono nata.”


“Ma se tu sei nata il 15 undicembre 1996 significa che sei nata il giorno prima di me; io sono nata il 16 undicembre 1996.
Poi Mina pensò di mettere la foto di Aurora nella collanina. Così chiese: “Posso farti una foto?”
Aurora annuì. “Mi metto in posa” aggiunse.
Mina scattò la foto di Aurora pensierosa.
“Ora la ritaglio a forma di cuore e la metto dentro la collanina” disse Mina.
“Ora scattala a me” continuò Mina.
E fece la foto di Mina felice. La ritagliarono e la misero nella collanina.
Dopo una bella risatina perché avevano le collane con la foto della loro amica, Mina si avvicinò all’orecchio di Aurora e le disse: “Mi raccomando: fa’ vedere soltanto ai tuoi la collana e agli altri no”.
Il signor Carllers stava portando la sua poltrona rossa fuori dalla piscina, dopo aver detto “E’ ora di uscire dalla piscina”.
La signorina porta-poltrone-rosse prese la sua poltrona prima che lui la potesse prendere.
Il signor Jeff Carllers non poteva dire “No, la prendo io”, perché lui poteva dire solo “E’ ora di pranzo” e così via.
“Lei non si preoccupi, signor Carllers” disse la signorina Bananas (Nora Bananas) “la porto io la poltrona giù”.
Jeff prese le pennette fredde che aveva preparato sua moglie Gianna Gioacchinaras; dopo aver mangiato due o tre pennette disse: “E’ ora di pranzo. Grffff”.
Zaira osservò a lungo la barba di Jeff: era cresciuta in modo impressionante.
Intanto Mina si era nascosta dietro un albero finto, dove c’era la spina per accendere il phon. ‘Qui non mi vedrà nessuno’, pensava, mentre si metteva il nuovo costume verde.
Si asciugò i capelli con il più bel phon che aveva a casa, mentre si era già vestita con la maglietta e la gonna. Poi dopo aver mangiato, fece quello che le aveva detto Aurora: scrivere, nel frattempo dei giochi:
NASCONDINO
UNO DUE TRE STELLA
ACCHIAPPARELLA
ALLA MANO DEL PAPA’

‘Quattro giochi bastano’ pensò Mina.
“Forza ragazze” le chiamò Sara, vestita da pallavolo.
“Dobbiamo giocare a pallavolo” aggiunse Celeste.
“Eccoci!”. La numero 1 era Sara, la 2 Celeste, le due bambine No-Dentista, la 3 Mina, la 4 era Zara, la 5 Zelda, due delle quattro sorelle Zeta. Infine la 6 era la bimba che Mina non sapeva neanche chi era e che le aveva urlato “Sei antipatica!” e che si chiamava Federica.
La prima battuta fu proprio a Federica, che un secondo dopo si trovò lanciata in aria dalle altre giocatrici perché aveva conquistato il primo punto.
L’arbitro era Zoe e Zaira invece segnava i punti.
Poi toccò a Zelda e le avversarie Azzurra, Daniela, Serena, Lina, Lia e Pamela dissero tutte “Presa!”, ma nessuno la prese.
“Evviva Pan-Pam-Friends” dissero in coro Celeste e Sara.
“Evviva noi” dissero in coro Zara e Zelda abbracciandosi; “Sìììì” disse saltando Federica. “Hip Hip Hurrah Yuppy” disse Mina.
Vinse la squadra di Mina, naturalmente.
Il signor Jeff Carllers era circondato da tutta la sua barba e per fare qualcosa di diverso fumò la sua pipa.
“E’ ora di andare in piscina” aggiunse.
“Hai preparato i giochi?” chiese Aurora a Mina.
“Sì però non mi va di giocarci” disse velocemente Mina.
La piscina era circondata da fiori di ogni genere e un prato finto fatto di mattoni.
In mezzo a due viole spuntava un pioppo abbastanza alto.
A destra gli unici tulipani circondati da un cerchio di girasoli. Più in là si potevano vedere i campi di grano.
Poi, vicino alle scalette per salire alla piscina, invitavano ad andare in piscina due palme. Rose di ogni tipo, viole di ogni tipo, stavano a destra, mentre tigli e gigli stavano a sinistra.
In mezzo c’erano margherite, gelsomini e gerani.
Ma quello che si vedeva di più era il boschetto con due peri, cinque noci, dieci albicocchi e otto lecci. Si poteva passare in mezzo all’unico melo per andare da una piscina all’altra.
Era proprio meraviglioso; nel frattempo Mina e Aurora andarono nell’acqua, più ghiacciata di prima.
“L’acqua è diventata ghiaccio!” esclamò Mina. “Guarda, ho trovato un blocco di ghiaccio”, disse Aurora tirando fuori dalla piscina un vero blocco di ghiaccio. “Beh possiamo sempre rimediare!” esclamò Aurora, prendendo due paia di pattini per il ghiaccio e poi soggiunse sottovoce: “Pattinando sul ghiaccio”.
Pochi secondi dopo Aurora disse “Grazie per avermi prestato il pareo”.
Tutte e due infatti avevano un pareo diverso; Aurora aveva lo sfondo giallo e dei fiori stranissimi: il polline rosso e dei petali arancioni tutti in cerchio ma staccati dal polline. Erano soltanto due i fiori, uno a destra e uno a sinistra.
Si pattinava proprio bene; pensandoci un po’ su, poco dopo, Mina rispose: “Se vuoi, te lo regalo!” Lei invece aveva mille stelle bianche e argentate sul pareo e lo sfondo blu.
Attraversarono tutto il campo di grano; lì spuntavano piccole margherite e più di duemila papaveri appena sbocciati, belli freschi.
C’erano dorate piante di grano; purtroppo Aurora passò su una piccola pozzanghera e scivolò e disse appena in tempo, prima che non le rimanesse fiato: “Aiuto, casco”.
“Arrivo, Aurora” urlò Mina.
Aurora si stava rovesciando a testa in giù quando Mina la rimise su.
“Tutto al posto suo?” chiese Mina.
“Sì smruff” rispose Aurora.
Tutti applaudirono: “Clap clap clap”
“Guarda, ci applaudono” disse Aurora.
“Già che strano!” evidenziò Mina.
Poi si avvicinò la signorina Nora Bananas: “Bravissssime, un bellissssimo balletto. Grazissssime. Andate a prendere la coppa!”
La sua assistente Nicole Melanzanas aspettava con la coppa numero 1 in mano.
Nessuna delle due bimbe sapeva che Nicole era una chiacchierona. “Bravissime avete vinto il premio, siete state bravissime, veramente brave, ma brave davvero, ma quanto siete brave, e che bravura, un solenne applauso per le nostre brave ballerine Minurora e Auina.”
“Aurora e Mina” dissero insieme Mina e Aurora.
Mina si sentiva proprio al settimo cielo, ma l’indomani in piscina, Mina aspettava Aurora nella piscina bassa, circondata da quella finta natura.
Visto che non c’era, attraversò il boschetto e si ritrovò nella piscina per fare le gare, circondata da ciliegi e castagni; di fiori c’erano soltanto finte piante grasse e cactus.
Aurora stava nuotando insieme ad un’altra bambina.
“Bene, Alba, ho vinto io” disse Aurora, ridendo.
Le bastò un secondo a Mina per vedere cosa stava facendo Aurora e pensò ‘Lei è amica di... di quella...’
Attraversò il boschetto, dove erano nate ciliegine rosse rosse e castagne marroni marroni.
“Ti possiamo dire una cosa?” la bloccò Sara.
“Fate pure” disse, triste, Mina.
“Un giorno” disse Celeste, “io pensavo che visto che Sara stava chiacchierando con un’altra bambina, non mi era più amica. Ma lei mi spiegò che quella bimba le stava chiedendo soltanto dove aveva comprato il costume che era davvero bello. Quindi rimanemmo amiche.”
Quando Celeste disse la parola amiche, Mina tolse un sassolino con un calcio che impediva di far nascere un altro tulipano. “Chiedi ad Aurora perché stava con l’altra bambina. Ci sarà certamente un motivo!” disse Sara.
“Grazie mille Sara, volo!” disse Mina.
Poi Mina si avvicinò ad Aurora, che era seduta su una poltrona di velluto azzurra, circondata da trifogli, quadrifogli e pentafogli e da due piccoli alberi di limone.
“Aurora, perché parlavi con quella bambina?” chiese Mina.
“Perché mi aveva chiesto di fare una gara di nuoto. Ho vinto io!” rispose Aurora alzando gli occhi.
“Scusa, non lo sapevo” spiegò, arrossendo Mina.
Poi continuò: “Riguardo a domani, cioè il tuo compleanno, anch’io ritornerò a Sabbiafina. Io abito lì”
“Potremmo festeggiare il compleanno a mezzanotte di domani”. Aurora chiese: “Tu in quale via abiti? Io, in viale Mani Dallabocca”
“Anch’io!” rispose entusiasta Mina.
L’indomani ... din don... suonarono al campanello di Mina.
“Apri, Mina, sono io, Aurora”
“Auguuuuuuri!” urlò Mina.
Mina si toccò il petto sperando di avere la collana al collo; neanche Aurora la aveva. Poi Mina si ricordò di avere messo le due collane sulla poltrona di velluto azzurra, dove era seduta Aurora.
Aurora disse a Mina che erano vicine di casa. Poi Mina mostrò ad Aurora un regalo che le aveva fatto; Aurora aprì la scatola e trovò il pareo che aveva usato per il pattinaggio del ghiaccio.
“Te l’avevo detto che te l’avrei regalato” disse Mina; “e anch’io ho un regalo, che serva anche a me” disse a quel punto Aurora.
“Fammi vedere” disse Mina.
Mina aprì la scatola e trovò le due collane.
“Le ho prese io le collane che erano sulla poltrona azzurra e le ho conservate per oggi!” disse Aurora.
Poi si trovarono anche a scuola insieme.
“Ma ti trovo da tutte le parti!” rise Mina.
“Sì” ribatté Aurora.
Così le due restarono vicine di casa e andarono sempre alle stesse scuole e allo stesso lavoro e, naturalmente, si trovarono vicine di casa anche al mare, in viale Mani Dalnaso.

sabato 7 luglio 2007

LA BAMBOLA COLORATA

La mamma accompagnò Harry al saggio di sua sorella Maggie.
Era così bello il saggio che stranamente piaceva anche ad Harry.
La signora Dharlsley, la mamma di Harry e di Maggie, decise per premio di Maggie e anche di Harry perché per la prima volta aveva fatto un applauso a un saggio, di andare nel negozio Glu-Glu-Glay.
Era un negozio di giocattoli.
Harry in macchina esclamò: “Non sarà mica quel negozio dove Maggie per il suo compleanno ha comprato quella Barbie con i capelli verdi, con gli occhi gialli, che era vestita con una canottiera grigia sporca e una gonna nera e il resto del corpo era color arcobaleno?”
“No” disse la mamma, “quello era il negozio vicino a Glu-Glu-Glay”.
“Mi ricordo benissimo come si chiamava” disse Maggie con aria da io-so-tutto, e continuò: “si chiama Fantasy, ma lo giuro, non comprerò più niente in quel negozio!”
Poco dopo scesero dalla macchina ed entrarono nel negozio.
Lì c’erano due sculture di bambini in oro, uno maschio e una femmina.
Maggie andò vicino a quelle sculture e disse: “Che carineeee”. La scultura della bambina ripeté: “ Che carineeee”.
Harry, che stava camminando si bloccò: “Oh, no, non sarà mica una di quelle storie tipo L’orsacchiotto misterioso…”
La scultura del bambino ripeté: “Oh, no, non sarà mica una di quelle storie tipo L’orsacchiotto misterioso…”
La signorina Nakton, la proprietaria del negozio, disse: “Infatti non è una di quelle storie tipo L’orsacchiotto misterioso perché queste statue hanno le pile e ripetono ciò che si dice loro!”
“E’ veramente noioso” esclamarono i due bambini insieme.
“E’ veramente noioso” ripeterono le due statue insieme.
“Andiamocene” sussurrò Harry a Maggie.
Maggie annuì.
Sullo scaffale, che stava al centro del negozio, c’era, lì seduta, una bambola colorata: aveva i capelli castani con due mèches bionde ai lati del viso, che sembrava quasi vero!
Aveva gli occhi verdi come un campo fiorito, aveva le labbra fine e un naso che sembrava così vero che Maggie disse: “Quella bambola è umana!”
“Ma cosa vai dicendo?” disse la signorina Nakton.
La bambola era vestita con una maglietta a maniche corte arancione, con i contorni gialli e dei pantaloni verdi smeraldo, con delle scarpe bianche da ginnastica, senza calzini.
Le orecchie erano nascoste tra i capelli; era una bambola così perfetta che anche se costava 500 Euro, piaceva perfino ad Harry.
“Ci devi comprare quella bambola” dissero in coro i due bambini.
“Costa troppo quella bambola!” rispose la mamma. “E ora andiamo, che è ora di cena!”
Ma quella notte i due bambini non dormirono.
“Non possiamo stare con le mani in mano, dobbiamo inventarci qualcosa se ci teniamo davvero a quella bambola colorata” disse Maggie.
Anche il fratello stava molto turbato e cercava di ricordarsi il nome della bambola che era scritto sul foglietto accanto alla bambola.
“Tochever!” esclamò Harry.
“Ma che Tochever” lo corresse Maggie, “semmai Together!!”
“Giààààààààààààààààààààà” urlò sottovoce il fratello. Sì sottovoce per non svegliare mamma e papà.
“Io ho già un’idea, sai, Harry” sussurrò Maggie.
“Dimmi tutto Maggie”
“Prenderemo la macchina di papà, quella vecchia, naturalmente, quella che deve buttare tra dieci settimane. Così si sbrigherà a buttarla, potrà buttarla domani e si comprerà finalmente la macchina nuova”
“Ho un paio di domande da chiederti, Maggie” disse Harry.
“Chiedi pure”
“Primo: chi la guiderà l’auto? Secondo: L’autista saprà dove è il negozio Glu-Glu-Glay. Se non lo sa mi dici come faremo a andare a prendere la bambola?”
Maggie fece una risatina: “Ah ah ah. L’autista che guiderà la macchina, ah ah ah, sarai proprio tu, non io; perché io ho fatto tipo Hansel & Gretel e ho lasciato da lì a casa i miei stickers-attack”
“Sei grandiosa, Maggie!” esclamò Harry.
Maggie intendeva per stickers-attack degli animaletti di acciaio con la calamita, attaccati al marciapiede; erano più di mille e, devo dire la verità, è molto difficile staccarli.
Infatti ancora oggi Maggie si chiede come possono essere rimasti attaccati quei cosetti per tre anni sul marciapiede.
I due si alzarono cercando di fare meno rumore possibile, scesero le scale del loro balconcino e arrivarono in garage. Avevano già pensato a prendere sia le chiavi del garage che le chiavi della macchina; il grande problema per Harry (e ancora oggi si chiede perché per lui quello poteva essere un problema) era che non sapeva come accendere la macchina e si sentiva come spiaccicato in un grosso sandwich.
Per fortuna, la sorella maggiore Maggie, che era più grande di un anno, aveva in mano un foglio e lesse:
1- prendere la chiave e metterla nel buchetto celeste vicino al volante
2- girare la chiave e accendere la macchina
3- aprire il garage e fare retromarcia spostando indietro e a destra la stecca che sta fra i sedili
4- accendere i fari con la stecchetta che sta vicino al volante
5- premere con il piede destro il pedale di destra per accelerare
6- leggere attentamente ogni cartello
7- pregare che tutto vada bene
“Bella calligrafia” disse Harry con la faccia schifata, prima di fare tutto quello che aveva letto la sorella.
La macchina avanzava a saltelli, perché Harry arrivava a malapena ai pedali; Maggie guardava il marciapiede per controllare che ci fossero gli stickers-attack.
Proprio quella sera, la signorina Mary Fraday, l’assistente della signora Nakton, per sbaglio aveva dato la pillola-sentimenti alla bambola colorata, che adesso correva velocissima su una macchina scoperta, una coupé, del famoso cugino di Barbie, Enzo, seguendo anche lei gli stickers-attack. Voleva andare a casa dei due bimbi che le erano stati simpatici sin da quando avevano messo piede nel negozio.
Naturalmente, la macchina del papà ormai quasi distrutta, fece una giravolta in aria, tanto da aprire gli sportelli e da far uscire i bambini, che atterrarono sopra un prato verde, proprio accanto al Glu-Glu-Glay.
In verità i due bimbi si erano appena incrociati con la bambola, che intanto aveva rotto metà della macchina di Enzo, anche lei e che sicuramente in questo momento stava tornando a Glu-Glu-Glay, dato che non aveva trovato i bimbi nella cameretta.
I bimbi erano sorpresi di trovare il negozio aperto. Su un cartello c’era scritto:
IL NEGOZIO CHIUDE ALLE ORE 22.08




E invece erano le 23.00 esatte.
La signora Nakton era disperata: “Come mai non c’è più la bambola Together?? Come hai fatto a darle la pillola-sentimenti” urlò alla sua assistente e continuò: “Sarà andata sicuramente da quei due mocciosi di oggi pomeri…”
La signora Nakton si bloccò perché vide i due bimbi.
“Come non c’è la bambola? Siamo venuti apposta a prenderla” disse Harry tirando fuori dalla tasca 100 Euro, le paghette di un anno di tutti e due.
Harry cominciava a parlare arrabbiato: “Insomma ci potevate fare uno sconto; ho 102 Euro e poi siamo bambini, non le possiamo dare di più. Ma se la bambola non c’è penso proprio che mi metterò a…” sussurrò “piangere…”
Maggie si guardava attorno pensando ‘cosa devo fare adesso?’
Un secondo dopo si mise avanti al fratello, per non fare vedere alle due signore che piangeva anche se da dietro si sentiva “Sniff sniff”.
Poi si guardò ancora intorno pensando ‘e ora cosa dico alle due signore?’
Tre o quattro secondi dopo stava dicendo alle signore: “Con voi non è finita qui. Ci inventeremo un altro piano per prendere Together!”
Prese per la mano il fratello e dopo aver controllato bene tutte le parti del negozio per verificare che la bambola non fosse nascosta lì dentro, disse: “A non rivederci”
Il fratello vide soltanto il cartello con scritto Together e disse “ A non rivederci”.
Poi se ne andarono via dal negozio; qualche minuto dopo Together era tornato al Glu-Glu-Glay. Della macchina di Enzo era rimasto soltanto il volante.
Dopo una mezz’oretta i due bambini videro passare un taxi con il guidatore mezzo assonnato.
“Scuusiiiii taxiiiiiiii, si fermi” urlò Maggie.
Sembrava che tornavano a casa in un batter d’occhio; nessuno parlava nel taxi e i due bambini erano impegnati a inventarsi un altro piano.
Tornati a casa si sedettero sulle scale del loro balconcino.


“Potremmo dire qualcosa al telegiornale” esclamò Maggie.
“Potremmo dire” continuò Harry “che se i cittadini non troveranno al più presto la bambola Together verranno tutti messi in galera”.
Così fecero; andarono al telegiornale e chiesero a tutti di trovare la bambola Together.
Mezz’ora dopo se la ritrovarono a casa; era stata Mary, l’assistente della signora Nakton, a ritrovarla, vicino al negozio, ancora con il volante della macchina di Enzo in mano.
“Credo che starà meglio qui con voi che al negozio, la piccola e coloratissima Together” disse sorridendo Mary.
I due bimbi non dissero niente, tranne un “Grazie” sussurrato da Harry, “Grazie anche da parte di Maggie”.
Il giorno dopo i due bimbi si sentirono fieri di iniziare una nuova avventura con la bambola.

I 2 DETECTIVE

‘Ultima chiamata!!! Ultima chiamata!!!’
Tigra & Gè-Gè corrono di fretta verso il tram-baffo, insieme a Mister Giancervello, e riescono a salire per miracolo
Mister Giancervello è un cervello con le braccia attaccate al cervello.
Il resto è di plastica e se Mister Giancervello vuole camminare, deve muovere le sue manovelle attaccate ai fianchi (di plastica).
Mister Giancervello è nato a Gatto-Croccantino, la capitale della Graffiolandia.
Tigra, Gè-Gè e il Mister Giancervello sono diretti proprio a Gatto-Croccantino.
Ups! Mi stavo dimenticando di dirvi chi sono Tigra e Gè-gè, i due detective del titolo.
Tigra è una gatta dormigliona, dal corpo grigio, con le striature nere. Ha tre anni, che ha compiuto il 3 aprile; il suo onomastico, Santa Tigra, è il 4 aprile. Ha gli occhi gialli e verde olivastro, il nasino marroncino, il mento bianco, le orecchie nere ed è di razza.
Gè-Gè è il contrario: è un salterellone, fa capriole per tutto il giardino, fa gli agguati a Tigra e con un triplo salto mortale la scavalca.
Miagola sempre, mentre Tigra sta sempre silenziosa; pur avendo solo otto mesi è più grande di Tigra di statura.
E’ nato il 6 settembre 2006 e il suo onomastico è il 3 luglio.
Il suo corpo è arancione e rossiccio e la punta della sua coda è bianca con le strisce rossicce. Ha la faccia da tenerone; ha gli occhi verde chiaro, il ventre bianco come un leone.
Sono i più famosi detective di Gattolandia, la seconda città più importante di Graffiolandia.
Sono diventati famosi quando hanno risolto il famoso caso del pesce puzzolente, insieme a Mister Giancervello.
Mister Giancervello, con i due gatti, questa volta devono andare a scoprire chi è il mostro che vuole distruggere la famosa fabbrica di croccantini Lekkabaff, i croccantini sopraffini, i croccantini più buoni di tutta Graffiolandia, ma che dico … di tutto il mondo dei gatti.
Roba da leccarsi i baffi per ore, credete a me.
Con loro c’è anche la cugina di Tigra, Ricci: è una gattina uguale a Gè-gè, solamente che sotto le orecchie ha dei ricci arancioni.
“Fabbrica Lekkabaff. Fermata della Fabbrica Lekkabaff. Sbrigarsi a scendere, grazie. E attenti alle code, che vi rimangono dentro le porte”.
Tigra, Ricci, Gè-Gè e Mister Giancervello entrano nella fabbrica, dove li aspetta la proprietaria, la signorina Felix.
“Vi stavo aspettando” dice la signorina Felix, tendendo la zampa.
“Questa è la mia squadra” dice Mister Giancervello.
“Venite da questa parte” dice la signorina Felix.
Entrano proprio nella fabbrica dove mille gatti stanno producendo i famosi croccantini Lekkabaff.
La signorina Felix dice indicando cinque gatti: “Vi diranno loro quello che pensano della fabbrica” e facendo la gatta moderna se ne torna nel suo ufficio.
Ricci dice: “Io mi chiamo…” non riesce a finire la frase perché uno dei cinque gatti dice: “Eh sì non ce ne importa niente”.
Ci sono tre gatte dal pelo lungo e bianco e dagli occhi tra il verdino e il celestino (erano gemelle). La prima gatta bianca si chiamava Lala, la seconda Lola e la terza Lila. Gli altri due gatti erano anch’essi gemelli, dal pelo corto e nero e dagli occhi olivastri. Il primo si chiamava Uf e l’altro Fa!
Lala voleva far chiudere la fabbrica perché la signorina Felix non le stava simpatica.
Lola voleva far chiudere la fabbrica perché puzzava di pesce marcio.
Lila voleva far chiudere la fabbrica perché un giorno aveva fatto indigestione dei croccantini Lekkabaff e aveva vomitato pure gli artigli.
Uf voleva far chiudere la fabbrica perché lo faceva starnutire.
Fa voleva far chiudere la fabbrica perché la voleva chiudere Uf, che lui chiamava Sapientone.
I tre gatti e il loro capo, il cervello, restarono a bocca a forma di delta; ‘quei motivi sono stranissimi’ sussurra Ricci a Gè-gè, che le risponde: ‘il motivo più strano è quello di Fa…’.
Tigra, quando non capisce qualcosa, si mette subito a dormire; infatti adesso lo sta facendo!
Mister Giancervello sbuffa: “Te pareva che Tigra si metteva a dormire. E’ il suo hobby preferito, tanto più che lo fa tutto il giorno!”
Per fortuna Gè-gè urla a Tigra: “Sveeeeeeeglia!!!” e Tigra si sveglia.
Insomma… si sveglia…ha un occhio chiuso e uno semichiuso.
I quattro vanno in albergo e dopo una cena con il brindisi a Giancervello, si buttano nei sogni più belli: Tigra sogna di dormire; Gè-gè sogna di giocare insieme a Ricci; Ricci sogna di fare un dispetto a tutti; Giancervello sogna che scoprono il mistero e poi sogna di risolvere dei problemi complicatissimi di matematica.
L’indomani Tigra si sveglia e al posto di andare al bagno a lavarsi la faccia, va nella stanza accanto, dove vede a malapena Fa prendere qualcosa di nero, forse inchiostro e un telecomando.
Ma Tigra si accorge subito di stare nella stanza sbagliata e torna nella propria.
Quando racconta tutto alla squadra, Mister Giancervello prende appunti domandando a Tigra: “Cosa aveva in mano precisamente Fa?”
Tigra si gratta un po’ la coda e dopo riflette due o tre minuti, mentre Gè-gè e Ricci sbuffano per il ritardo nella risposta.
Ma Tigra dice: “un telecomando e una bottiglietta d’inchiostro”.
Ricci le chiede sbuffando: “Upff, non potevi restare lì a prendere altri appunti?”
In quel momento, proprio in quel momento, proprio in quel precisissimo momento, ecco che arrivò il mostro che stava distruggendo la fabbrica dei croccantini Lekkabaff.
I quattro uscirono fuori.
Il nostro mostro era un mostro fatto di inchiostro, che girava dentro a un chiostro.
Scusate mi sono fatta prendere la mano dalle rime…
Il mostro stava versando inchiostro sui croccantini.
Erano tutti presenti i gatti che volevano far chiudere la fabbrica; ebbene, anche Fa, con un telecomando in mano.
Mister Giancervello capì che era opera di Fa, che con un telecomando comandava il mostro e stava per andare a dirlo alla Gatta-Poliziotta, quando Ricci lo fermò dicendo: “Non sappiamo perché l’ha fatto”.
Così Giancervello chiamò a raccolta tutta la squadra e insieme riuscirono a capire il perché.
L’inchiostro avrebbe circondato tutta la città e lui avrebbe potuto costruire una città ancora più bella e più grande e avrebbe potuto guadagnare un mucchio di soldi.
La gatta-poliziotta andò nella camera di Fa e trovò un foglio che dimostrava che Fa si era comprato tutta la terra attorno alla città: se la fabbrica fosse stata distrutta e la città piena di inchiostro, tutti sarebbero scappati nella nuova città.
Voi sapete che nel mondo dei gatti non rinchiudono in galera i gatti cattivi?
No! Ci sono due stanze, la H e la S. Il cattivo sceglierà di certo quella sbagliata e andrà a finire male: se non va a finire male non è lui il colpevole!
Infatti la squadra di Giancervello sceglie la H, mentre Fa sceglie la S e finisce legato a una poltrona, costretto a mangiare cibi schifosi, tipo il timballo, i cannelloni e le fettuccine. Eh sì lo so che agli umani questi cibi piacciono, ma ai gatti fanno proprio schifo!
Invece la squadra di Giancervello si trova sopra una nuvola rosa, intorno a una tavola rotonda a gustarsi ciotole stracolme di croccantini Lekkabaff!

TUTTA COLPA DELLE SIRENE, CHE HANNO CREATO UN MISTERO!

Oggi non esistono più re o regine, ma in realtà esistono ancora in una città dove nessuno è mai stato: la città di ATLANTIDE .
Ecco, questo è il castello
che si chiama “La Pittrice”
(che si può chiamare
anche “Il Colore”).
Non hanno nessun servo, anche se il re Nero dice che sua moglie (cioè la regina Celeste) lo tratta come un servo.
Ah, dimenticavo: in questo castello vivono la regina che si chiama Celeste, il re che si chiama Nero, la figlia maggiore che si chiama Rosa e la figlia minore che si chiama Viola.
Il castello si chiama “La Pittrice” perché Rosa e Viola disegnano sempre dei quadri.
Da due mesi Rosa e Viola non fanno altro che disegnare sirene.
Nel mare di Atlantide il 3 marzo hanno visto nuotare delle sirene: è da quel momento in poi che non fanno altro che disegnare sirene che nuotano…
Dopo qualche giorno le sirene che hanno visto Rosa e Viola sono diventate per tutti una leggenda.
A scuola non si fa altro
che parlare di sirene,
analizzare frasi sulle sirene,
dire “mermaids swim”
durante la lezione di inglese,
fare problemi sulle sirene.
Rosa e Viola, dopo essere andate a scuola, si avviano verso il Monte della Sirena, dove l’acqua è un po’ rosina, e si dice che l’acqua è rosina perché una sirena un giorno ha sparso il suo profumo nel mare.
Sul mare Rosa e Viola intravedono una coda di una sirena, che era celestino-grigina e sentono gridare “AIUUUUUTO”.
Viola esclama: “E’ la sireeenaaa! E’ una delle sirene che abbiamo visto il 3 marzo! Rosa, senti, grida aiuto! Che cosa facciamo?”
“Stai calmaaa!” le dice Rosa, e aggiunge: “A quanto pare la sirena è incastrata. Dobbiamo approfittare di questo momento per chiamare gli abitanti di Atlantide e fare vedere loro la sirena!”
Così fanno.
Arriva gente col telefonino, con la telecamera e con la macchina fotografica. Tutti sono impegnati a riprendere la sirena.
“Che bella idea, sorellona” esclama Viola. “Ci vuole l’intelligenza!” risponde soddisfatta Rosa.
Il giorno dopo Viola a scuola non fa altro che vedere le fotografie che hanno scattato le persone.
Rosa invece continua a fare ghirigori sul quaderno, pensando alle sirene.
Dopo la scuola sono andate a casa per la prima volta con la nota sul quaderno, perché non hanno capito un fantastico fico secco della lezione!

Mentre vanno a casa,
questa volta vedono,
sul Monte della Sirena,
un bellissimo delfino rosa,
che scintillava al sole. Ed è molto, ma molto strano…
Con le pinne salta!
L’indomani, dopo essere andate a scuola, vedono sul mare Monte della Sirena delle alghe multicolori, che sono uscite dal mare, e sono anche loro molto ma molto strane, perché danzano!
Il giorno dopo, sempre sul mare Monte della Sirena, Viola e Rosa vedono una cosa ancora più speciale, cioè una farfalla con la faccia da gatto.

Ed è molto, ma molto
strana, perché non ha
le ali, ma le zampe.
L’ultimo giorno, sul mare Monte della Sirena non c’è più il mare!
Viola dice arrabbiata: “Che cos’è questa stoooriaaaaa??? Che succede?”
“E’ vero!” esclama Rosa, “prima vediamo una coda di una sirena, poi un delfino rosa, dopo delle alghe multicolori e quindi una farfalla con la faccia da gatto. Ed infine scompare persino il mare… Non ti sembra molto, ma molto strano, Viola?”
“Davvero stranissimo” risponde Viola.
“Ehm… scusatemi,
anche a me interessa
la situazione; possiamo fare amicizia, principessine?” chiede una bambina con i capelli biondino-marroncini e con gli occhi verdeacqua e soggiunge: “Mi chiamo Bianca”.
Viola e Rosa si fanno l’occhiolino e rispondono in coro: “Certo!”.
Loro non si presentano perché tutti i cittadini di Atlantide conoscono il loro nome. Sono le principessine!
Poi Rosa e Viola
prendono Bianca per mano
e vanno verso il castello.
Bianca nel castello, insieme
a Rosa e Viola, fa tanti disegni per riuscire a capire perché sono apparsi quegli strani animali sul mare, ma nessuno sembra capirci niente.
Rosa esclama: “E uffaaa, e uffa e uffa! Quando la maestra ci stava spiegando come capire le cose strane noi stavamo giocando!”
Bianca sfoglia il quaderno di Viola e dice: “Fantastico, andiamo nella stessa scuola, solamente che io sono più grande di voi; infatti faccio la quarta, non la terza”.
Viola dice: “Uhuh, è fantaaaastico, ma adesso mi spiegate come facciamo a continuare i disegni se è sera?”
“Ho un’idea!” esclama
Rosa. “Perché non
parliamo domani
a scuola durante la ricreazione?”
“Ottima idea!” dicono in coro Bianca e Viola.
A scuola le tre bambine si incontrano e Bianca, informata, dice: “Se noi mettiamo insieme i nostri disegni, capiremo che cosa sono quegli animali!”
Così fanno…
Ma… ecco il risultato…
“Cosa facciamo? Domani iniziano le vacanze estive!” chiede preoccupata Viola; ma Rosa risponde: “Invece di preoccuparti e fare gnè gnè, cerca di pensare a una soluzione per questo mistero!”
Così scoppia un bellissimo litigio e intanto la ricreazione finisce.
Bianca alla fine della scuola dice a Viola e a Rosa che per le vacanze non sarebbe partita; neanche Viola e Rosa partiranno; quindi decidono di incontrarsi al parco chiamato “La Tranquillità della Sirena”.
In quel parco c’è per davvero un gran bel silenzio, ma le bambine per prima cosa al parco mangiano le merende al sacco che hanno portato; però Rosa si lamenta perché non le piace il pesce alla Sirenaiola che le ha preparato la regina Celeste.
Allora Viola e Rosa cominciano a litigare; Rosa dice a Viola: “Non è giusto! A te mamma ha messo la bistecca alla buona-brace e a me no!”
Viola dice con aria da ‘sotuttoio’: “Si vede che a me vuole più bene che a te!”
“Solo perché sei la più piccola, sei la cocca di mamma!” dice Rosa.
Per fortuna Bianca dice: “Sentite, è meglio se andiamo a Monte della Sirena”.
Le altre si calmano e seguono Bianca sul monte.
Giunte sul Monte della Sirena, le tre bambine rimangono a bocca aperta: è di nuovo comparso il mare!!!
In riva al mare c’è un tizio, con le orecchie a sventola, gli occhi grigi, i capelli rossicci e un mantello fucsia, che dice ridendo e senza accorgersi delle bimbe: “Ho spaventato le principessine. Ora vorranno scappare via e i genitori dovranno andare con loro. Così prenderò il posto del re e comanderò io su Atlantideeee! Le ho spaventate mettendo nel mare dei cartoni che raffigurano animali sempre più strani e loro ci sono cascate come poppanti!!! E con un velo trasparente avevo coperto il mare! Ah ah ah ah!”
Le bimbe senza farsi scoprire scappano dal Monte della Sirena e vanno alla centrale della polizia di Atlantide, dal commissario Trovafurfanti.
Il commissario ascolta il racconto delle tre bimbe e corre con altri agenti sul Monte della Sirena, dove trova lo strano tizio con il mantello fucsia, che sta portando via il velo con cui aveva coperto il mare sotto il Monte della Sirena.
Il commissario lo arresta e lo spedisce in prigione.
Non mi piacciono le fiabe che finiscono con “e tutti vissero felici e contenti” e quindi dico solamente: FATE ATTENZIONE AL TRIO DELLE AMICHE COLORATE!

LE MASCHERE DI NATALE

Evviva il Natale!
Infatti era proprio Natale quando iniziò questa storia, o meglio dire, la notte di Natale.
Dentro un negozio per giocattoli chiamato “DESIDEROREGALI” c’era la famiglia Natale: babbo Natale, mamma Natale, vestita uguale a babbo Natale, solo che al posto dei pantaloni aveva la gonna rossa e gli stivali con i tacchi rossi. Era vestita uguale a bimba Natale, solamente la bimba Natale non aveva i tacchi.
C’era anche bimbo Natale, vestito uguale al papà, ma con i capelli neri e senza barba.
La bimba Natale aveva invece i capelli lunghi fino alle spalle e castani.
Mamma Natale aveva invece i capelli biondi che le arrivavano fino a mezza schiena.
Non erano una famiglia vera, erano delle maschere; ma non delle maschere per il viso, ma, come a Carnevale, delle maschere per tutto il corpo.
Costavano 100 euro e tutti e quattro avevano il viso simpatico con il sorriso sulle labbra; erano seduti su una panchina rossa e marrone.
Nessuno li aveva comprati; bimba Natale disse: “Sicuramente siamo troppo brutti; ecco perché non ci hanno comprato!”.
Mamma Natale diceva: “Ma come, mi sono messa il trucco appena adesso!”
“Sembrerai una strega!” disse scherzando babbo Natale.
Bimbo Natale disse: “E’ dal 26 ottobre che ce ne stiamo qui impalati. Perché non ci muoviamo un po’?”
“Hai ragione” disse mamma Natale.
Così proprio quella notte decisero di andarsene; sfortunatamente bimbo Natale e bimba Natale si erano già addormentati e quindi mamma Natale dovette portare bimba Natale in braccio e babbo Natale dovette portare bimbo Natale in braccio.
“Sono pesanti, eh?” chiese mamma Natale.
“Eh sì, stanno crescendo!” rispose babbo Natale.
Non sapevano dove andare.
Ad un certo punto videro un garage vecchio e abbandonato. Era persino aperto.
Stanchi decisero di andare dentro il garage, disturbati da topi che rosicchiavano pezzi di formaggio e gatti che cercavano di rosicchiare i topi.
Passavano da quelle parti delle tartarughe.
Le tartarughe videro le maschere di Natale e risero di loro: “Delle belle maschere di Natale dovrebbero stare in un bel negozio, tipo DESIDEROREGALI”.
E dopo, lentamente, se ne andarono.
Babbo Natale e mamma Natale si sedettero su un tavolo che dondolava, senza vedere bene di che colore fosse.
Vicino a quel tavolo, misero i due bimbi dentro un pacco di Natale grande e aperto, che dentro era vuoto.
Non videro neanche di che colore fosse.
Stanchi, babbo Natale e mamma Natale, si addormentarono sul tavolo.
“chicchirichìììììììììììììììììììììììììììììììììì!!!!!!!!”
Passava da quelle parti un gallo che sembrava quasi un pavone- arcobaleno, per quanto era colorato.
Anche lui rise di loro. “Magari sto ancora dormendo se vedo due maschere di Natale stese su un tavolo e due, più piccole, addormentate in un pacco di Natale azzurro e aperto.”
Appena babbo Natale aprì gli occhi confuse le sue gambe con il colore del tavolo, che era rosso.
Voleva grattarsi il ginocchio e invece grattò il tavolo, rosso come il sangue.
Il tavolo fece un bruttissimo rumooooooooore.
“Èèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèè? Che succede? Dove sono? E perché? Come mi chiamo? Cosa mi metto stasera, il vestito da bidella?” disse alzandosi di scatto e salterellando bimba Natale, facendo svegliare anche bimbo Natale che, ancora addormentato disse: “Ho diciotto anni. Posso votare. Posso avere la carta d’identità. Posso guidare la macchina. Posso andare all’università. Non avrò più la mia sorellina-rompi tra i piedi. Insomma sono maggiorenneeeeeeeeee!!!!”
Gli altri lo guardarono e si misero a ridere, compresa la sorellina, un po’ offesa perché non era proprio così rompi.
Babbo Natale disse: “Tutto molto bello; peccato, però che fai dieci anni la prossima settimana!”
“Scemo, stavi sognando!” lo prese in giro bimba Natale.
“Che ne dite di addobbare il garage?” disse mamma Natale.
“Mamma, che bella idea!” esclamò bimba Natale.
“Ma dove prenderemo gli addobbi?” chiese dubbioso bimbo Natale.
“Guardate questa carta da regalo” sorrise mamma Natale; “cominceremo con questa!”
“Babbo Natale!” disse bimbo Natale. “Tu non hai realizzato nessun desiderio di nessun bambino, quest’anno! Ciò significa che devi almeno realizzare i nostri, di desideri”.
Babbo Natale aveva capito male, perché disse: “Grazie, mi volete fare un regalo! Allora prendetemi dei biglietti di viaggio per andare alle Hawaii!”
Mamma Natale dà una schicchera all’orecchio di babbo Natale.
“Ma, caro, forse non hai capito cosa ti stavano chiedendo i bambini?” disse con voce comprensiva mamma Natale.
“Ah davvero… e cosa?” chiese stupito babbo Natale.
“I bambini ti stavano chiedendo se potevi realizzare qualcosa per addobbare questo garage”
“Ah, scusatemi… ora ho capito”.
Babbo Natale cantò la formula magica, ma sbagliò un’altra volta e disse: “Salagadula-magicabula-bidibi-bodibi-bu”
Ovviamente non apparve niente.
“Ma papà:
1. quella è la formula di Cenerentola;
2. non sai che cosa ti abbiamo chiesto
3. la tua formula è ‘bianco Natale’ quella cosa lì…”
“Scusatemi” disse babbo Natale, grattandosi la testa imbarazzatissimo, “ma se non mangio un po’ di torrone non riesco più a controllare le magie”.
Gli altri risero.
Babbo Natale continuò: “Allora cosa volete?”
I bimbi dissero in coro: “Vogliamo qui tutto l’occorrente che ci serve per addobbare il garage!”
“E anche qualcosina da mangiare” aggiunse sottovoce mamma Natale.
Babbo Natale si concentrò e iniziò a cantare:
Bianco Natale
Sorriso spaziale
Se siete buoni
Arrivano i doni
Con l’aiuto del re dei gobbi
Ecco qua tutti gli addobbi
E, poi sottovoce:
Bianco Natale
Bistecca di maiale
gioia e emozione
spumante e torrone
E così spuntarono dal nulla, da una nuvoletta color neve, degli addobbi blu e rossi, dei festoni con scritto “Buon Natale”.
E poi, sul tavolo, bistecche, panettone e torrone per tutti.
Mamma Natale, con la pezza bianca in mano, pulì il tavolo e babbo Natale aggiustò le gambe del tavolo, che erano storte.
Bimbo Natale si occupò di mettere negli scaffali color ambra tutte le cose che servivano per il Natale.
Bimba Natale aggiustò bene i festoni sulle pareti, ridipinte di celeste.
Alla fine uscì fuori un bellissimo negozio di Natale e naturalmente bimba Natale, furba com’era, aveva messo il torrone che serviva a babbo Natale per mangiare dentro un frigorifero. Lo dava solo ai clienti che venivano nel negozio, così babbo Natale non ingrassò.
Ebbene da quel giorno in poi il negozio era sempre pieno di clienti e nessuno si accorse che erano delle maschere.
Sul tavolo c’era scritto “Buon Natale” in rosso e sopra c’era una camicia rossa con i bottoni a forma di N, una gonna con scritto “Are you Natale?” e degli stivali rossi, come quelli che aveva mamma Natale.
Ah, scusatemi, mi ero dimenticata di dirvi: il negozio si chiamava:
“LE MASCHERE DI NATALE”

L'ORSACCHIOTTO MISTERIOSO

Tutto cominciò la sera della vigilia di Natale, quando guardai fuori dalla finestra…
Ah, voi non sapete che ho la casa di fronte a un negozio di giocattoli e guardando dalla finestra, vidi davanti a me, nella vetrina, un orsacchiotto.
L’orsacchiotto mi guardava, come per dirmi: “Mi vuoi per Natale? Dai, vieni a prendermi!”
Proprio in quel preciso istante, minuto, ora, giorno, mese, anno, la mamma mi chiamò.
“Cosa vuoi per Natale?”
Io risposi, indicando fuori dalla finestra: “Ecco, vorrei quell’orsacchiotto!”
La mamma tacque; pensò a lungo, chissà a cosa e dopo mi disse: “Forza, andiamo a tavola, la cena è quasi pronta”.
Io andai a tavola, contenta di aver capito che sicuramente stava vedendo il prezzo dell’orsacchiotto.
Per cena c’era una minestra verde.
Papà, che era seduto accanto a me, mi disse: “Si vede che hai una passione per gli orsacchiotti. Da quando sei nata non hai voluto altro che orsacchiotti per regalo”
“E’ il mio regalo preferito” spiegai io. “E poi guarda, papà, un orsacchiotto sta anche su questa vestaglia rosa che indosso. Se mi regalerete un altro orsacchiotto, lo chiamerò Teddy, come c’è scritto sulla mia vestaglia”.
Dopo aver finito di mangiare riandai alla finestra. Guardai verso la vetrina.
Mi sembrava incredibile!
L’orsacchiotto aveva un sorriso sulle labbra!
Poi osservai tutto il negozio come era addobbato: nastri rosa e il solito fiore rosso che si regala a Natale.
Alla vetrina si affacciò la signora Virginia Stock, una vecchia signora dai capelli grigi e dagli occhi castani.
Aveva un vestito rosso con disegnate le stelle di Natale.
Poi mi rimisi a vedere il negozio: c’erano mille e mille regali.
Il negozio si chiamava “Feste & Doni”; l’insegna aveva dei caratteri grandi e doppi e brillava d’oro e di rosso.
Era scesa la notte e mi ero messa a letto tranquilla.
Ero appena riuscita ad addormentarmi, quanto sentii da lontano “DLING DLONG” e il rumore di una porta che si apriva.
Non avevo paura dei fantasmi; perciò pensavo di essere addormentata e che stavo sognando.
Ma dopo qualche secondo sentii quei rumori di nuovo. E poi di nuovo. Cinque volte.
Stufata mi alzai, andai nella stanza dei miei genitori ma vidi che mamma era uscita.
Papà mi disse: “Mamma è andata a prendere una specie di sorpresa”.
Sperai che fosse l’orsacchiotto del negozio di fronte. E così, col cuore pieno di speranza, tornai al letto.
Il mattino seguente, per la prima volta nella mia vita, mi svegliai all’alba. Era una calda giornata, per essere dicembre. Era lunedì, sì, ma era pure Natale.
Ma faceva davvero davvero caldo. Infatti mi misi un top e una gonna che arrivava ai quei cosi, come si chiamamo? I polpastri? Ah no, i polpacci.
Mi misi un cappellino in testa; volevo uscire in giardino, ma mamma mi fermò.
“Ehi” mi disse, “non scartiamo i regali?”
Così aprii il pacco marrone (era il mio colore preferito); scartai con ansia. Dentro c’era l’orsacchiotto che avevo sempre sognato!
Corsi alla finestra.
Mamma aveva preso proprio l’orsacchiotto che stava in vetrina!
L’orsacchiotto però, è strano a dirsi, aveva uno sguardo assonnato.
Aveva il colore dei sandaletti, che mi ero messa perché faceva caldo.
L’orsacchiotto piano piano apriva gli occhi e questo non mi rassicurava per niente.
Pensai quindi che avesse le pile, ma mamma mi disse: “Mi ha detto la signora Stock che è un orsacchiotto di peluche e quindi non ci sono le pile”
“Mamma” dissi io, “allora perché l’orsacchiotto sta aprendo gli occhi?”
Ma mamma sembrava che non mi aveva ascoltato; disse: “Allora, manterrai la promessa e lo chiamerai Teddy?”
“Sì mamma” risposi io un po’ scocciata.
Sapete, ero un po’ permalosa e quando qualcuno non rispondeva a una domanda mi offendevo.
“Ah, comunque, buon Natale” continuai io.
“Anche a te” risposte mamma.
Nella mia casa non si forma mai l’eco.
Eppure sentii la frase “Anche a te” un’altra volta.
L’orsacchiotto sembrava che muovesse la bocca.
“Mamma, ma sei proprio sicura che non ha le batterie, Teddy?”
“Sicura” rispose lei.
“Sicura sicura?”
“Sicura sicura”
Dopo una bella giornata al mare (eh sì faceva così caldo che facemmo il pranzo di Natale al mare), tornammo a casa. Era sera.
L’orsacchiotto aveva il sorriso sulle labbra, esattamente come quando lo avevo visto in vetrina. Questo mi tranquillizzò.
Ci mettemmo a tavola per cena. Misi a tavola anche lui, come se fosse un centrotavola e gli misi una candela rossa in testa.
Proprio nel momento in cui accesi la candela, l’orsacchiotto si spostò come se non volesse scottarsi.
Fortunatamente anche mamma lo vide e disse: “A questo punto non sono proprio certa che Teddy non abbia le pile”.
Anche papà lo vide e disse: “Fo-fo-forse la fi-finestra è aperta e c’è vento.”
Questo mi ritranquillizzò.
Andai a letto, ma sentì parlare qualcuno.
La voce diceva: “Pensavo che l’accoglienza fosse un pochino più entusiasta”
Andai in cucina e trovai l’orsacchiotto un po’ scoraggiato. Ma… incredibile!
Era lui che parlava!
Io gli chiesi: “Ehi, vediamo se hai imparato il tuo nome. Come ti chiami?”
L’orsacchiotto aveva già chiuso gli occhi. Allora io mi voltai e dissi: “Mah…era solamente un sogno…”.
Tornai al letto. Il giorno dopo, santo Stefano, era il giorno in cui dovevamo partire per la settimana bianca.
Portai anche il mio orsacchiotto che aveva ancora gli occhi chiusi.
Questo mi ri-ri-tranquillizzò (vuol dire che avrà sempre gli occhi chiusi, pensai, anche se non ne ero molto convinta).
Arrivati in albergo disfacemmo le valige. Io mi misi la tuta, presi gli sci e tutto l’occorrente per andare sulla neve. Eravamo andati in grandissimo villaggio chiamato Evragon.
C’ero già stata l’anno prima e avevo incontrato una bambina, Stilfy, che era diventata mia amica. Mi aveva detto che anche in quel soggiorno ci sarebbe stata.
E infatti appena arrivati sulle piste da sci, con Teddy in braccio, vidi Stilfy che mi aspettava, davanti al bar Nevebianca (anche se per la verità era piuttosto sporca la neve davanti al bar…).
Incredibile! Stilfy aveva in braccio un orsacchiotto identico a Teddy!
“Stiilfyyyy” gridai io.
“Ciao, da quanto tempo…” rispose lei.
“Bello quell’orsacchiotto. Guarda, è quasi uguale al mio”.
Il suo era rosso ed il mio marrone, per il resto sembravano uguali uguali.
Mi accorsi andando nella sua stanza che il suo orsacchiotto (di nome Trabby) non parlava, però sembrava seguire con lo sguardo il mio.
Ma doveva essere la luce del sole, che splendeva davvero forte anche il 26.
Io dissi il mio segreto a Stilfy. “Sai che Teddy, il mio orsacchiotto, parla”.
“Davvero… ma dai, non ci credo”
“E’ normale per noi orsacchiotti…” Teddy aveva parlato. Stilfy rimase senza fiato.
“Ehi … Stilfy… ma sei diventata una statua?”
“Guarda che anch’io parlo” disse Trabby.
Stilfy svenne.
Beh, sapete, Teddy era veramente un orsacchiotto misterioso.
E anche Trabby.
Alla fine della settimana bianca, Stilfy e io parlammo per circa quattro ore e alla fine mi disse “Ho visto che vicino casa tua stanno facendo i lavori. Ebbene, per una mia casa!”
“Abiteremo vicine!!!” urlai io.
“E potremo dirci tutti i giorni cosa hanno fatto i nostri orsacchiotti”.
“E Teddy e Trabby potranno incontrarsi quando vorranno e chiacchierare”.
Così dopo dieci anni, ho fatto diciott’anni ieri.
E abbiamo festeggiato io e Stilfy.
E Teddy e Trabby mi hanno cantato “Tanti auguri a teeee”

IL SOGNO DI SARA

Sara, dopo essere stata dalla nonna Susi e dal nonno Fulvio, torna a casa insieme a sua madre Flavia, a suo padre Sergy e alla sorella maggiore Fiordaliso.
Fiordaliso ha il doppio degli anni di Sara; infatti Sara ha 9 anni e Fiordaliso 18, anche se non ha ancora preso la patente.
Tornando a casa Sara pensa: ‘Oggi è stata davvero una bella giornata, però c’è sempre quel desiderio: mi piacerebbe vedere mia sorella da piccola e mi piacerebbe vedere me stessa appena nata’. Sara è un po’ stanca e chiude un attimo gli occhi.
Appena li riapre capisce di stare sopra una carrozzina; si guarda le mani e pensa: ‘Le mie mani! Sono rimpicciolite!’
Sua sorella non ha quella magliettina celeste che fa vedere l’ombelico e i jeans corti; non ha neanche una mèche bionda sui capelli marroni, ma invece ha i capelli biondi, lunghi e intrecciati a una farfallina rosa e ha un vestitino giallo a pallini arancioni.
Sara la riconosce perché la mamma (che non ha i capelli lunghi come al solito) le dice: “Fiordaliso, stai sempre scalza, mettiti le scarpe. Tua sorella che è moolto più piccola di te, è mooolto più educata di te!”
Fiordaliso non è cambiata di carattere e scoppia in un pianto infinito.
Allora Sara vorrebbe parlare, ma dalla sua bocca esce solo uno “gniiièèèèèèè”.
La mamma si volta con uno scatto e dice: “No, no, dai non piangere. Vuoi la pappa?”
Sara annuisce.
La mamma prepara un biberon di latte di capra caldo con i Plasmon.
Sara beve il biberon e quando ha finito si lecca le guance bene bene.
La bimba gira la testa verso sua sorella che ha appena finito di fare i compiti.
Adesso Fiordaliso avrebbe voglia di giocare, ma la mamma le dice: “Forza Fiorda, ti ho preparato una buona minestrina! Vieni a mangiare, che tua sorella ha appena finito!”
Fiordaliso si lagna dicendo: “Nooo-oooo-oooo. Non è giusto, io voglio giocare!”
Però appena sente l’odore della minestrina corre a tavola; dopo aver mangiato la cena, la mamma culla Sara che però fa di tutto per non dormire, perché vorrebbe vedere la sua cameretta, ma da sopra la carrozzina non si vede niente…
Dopo aver fatto un ruttino e un “gniè-gniò”, Sara si addormenta.
Si sveglia alle ore cinque e mezza e inizia a piangere; la sua pancia fa rumble-rumble.
La bimba grida spontaneamente e la mamma, con un occhio chiuso e uno semichiuso, corre nella cameretta con un vasetto di omogeneizzato pollo-vitello.
Sara se lo spazzola in pochi secondi. Finalmente con la prima luce del giorno può guardare la sua cameretta: è tutta rosa e a destra c’è un armadio rotondo, dove ci sono tanti cassetti di legno massello, come l’armadio.
A sinistra, invece, c’è uno scaffale di plastica, sempre rosa; sopra lo scaffale ci sono tante bamboline di coccio con i capelli ricci e marroni, con gli occhi azzurri e il vestito verde sbiadito.
Davanti alla carrozzina c’è una dolce culletta rosa, con un cuscino candido, una copertina rosa a fiorellini rossi e un velo rosa su tutto il cuscino.
A quel punto entra nella stanza Fiordaliso, che sta giocando con un pallone di Barbie; Sara la guarda storta e pensa: ‘Ora posso fare un bello scherzetto a Fiordaliso; visto che sono piccola mamma darà certamente le botte a lei e non a me’.
La bimba incomincia a urlare, facendo capire alla mamma che entra correndo nella cameretta, che Fiordaliso le dà fastidio con il pallone.
La mamma si volta verso Fiordaliso che si tappa le orecchie, perché la mamma uuuuuuuuuuuuurlaaaaaaaa: “Fiordaliso, vai immediatamente in camera tuuuuaaaa! Poi vestiti, fai colazione, che sta già in cucina, lavati i denti e non dare fastidio alla tua sorellina piccola”.
La mamma comincia a stendere i panni; il sole splende e la porta-finestra per uscire in giardino è aperta.
Sara scende delicatamente dalla carrozzina, atterra su dei cuscini che stavano per terra e comincia a gattonare verso la porta-finestra.
Sara esce nel giardino, prende il tubo dell’acqua, che è di gomma verde, apre il rubinetto e comincia a schizzarsi tutto il viso con l’acqua.
La mamma si accorge dell’accaduto e corre a chiudere il rubinetto, ma inciampa nel cesto dei panni e finisce stesa sul prato.
Allora è Sara pensa di aiutare la mamma; chiude il rubinetto e porge una mano alla mamma per farla rialzare.
La mamma si rialza con tutti i capelli in aria e comincia a sbuffare per scansarli da davanti agli occhi.
“Non si fanno questi brutti scherzi, Saretta. Tu del resto sei piccola e non capisci ancora. Sara fa un sorrisone che arriva fino agli occhi.
Intanto il papà di Sara chiama Fiordaliso per accompagnarla a scuola; Fiorda non si è ancora pettinata i capelli, tuttavia esce con ancora il pettine il mano e il viso sporco di dentifricio.
Dal sorriso di Sara esce una risatina che fa “Eh eh eh eh eh eh eh”.
La mamma Flavia, felice della risatina di Sara, la riporta nella sua culla, la cambia e al posto del pigiamino rosa, bagnato, le mette una tutina gialla, con sopra un orsacchiotto marrone, con gli occhi neri e il papillon rosso.
Sara comincia a giocare con un gattino di pezza a strisce tigrate bianche e arancioni.
Il gattino di pezza miagola se Sara gli accarezza il collo.
La mamma le canta una canzoncina per farla riaddormentare e Sara piano piano chiude gli occhietti.
Quando si sveglia si volta verso destra e vede Fiordaliso che parla al cellulare piano piano. Ha di nuovo la mèche bionda sui capelli marroni ed è vestita, come al solito, con la maglietta che fa vedere l’ombelico e i jeans.
Sara si guarda le mani.
‘Ehi!’ pensa ‘sono di nuovo le mani di una bambina di nove anni’.
“Ehi ciao, Saretta, ti sei svegliata?”
Sara si guarda attorno un po’ stupita e vede che la sua cameretta è quella celeste con il poster di Mila e Shiro, con il letto matrimoniale con la coperta bianca e i cuscini arancioni, con la scrivania blu e viola per fare i compiti: insomma proprio la stanza di una bambina di nove anni.
La bimba pensa: ‘Di certo il mio sogno non poteva essere più lungo di così, però almeno ho scoperto come ero da piccola e come era Fiordaliso a dieci anni’.
‘E’ stato davvero un bel sogno’, pensa, accarezzando il collo ad un gattino di pezza a strisce tigrate bianche e arancioni.

CHE BELLO ESSERE UNA SQUADRA

La squadra delle IX si sta allenando.
Voi sapete che una squadra di pallavolo è formata da dodici giocatrici:
numero 1: Libilla
2: Gemma
3: Yoghina
4: Clara
5: Sandra
6: Benedetta
7: Brina
8: Lisa
9: Samantha
10: Erlh
11: Emanuela
12: Nicole
L’allenatrice ha vinto 11 coppe quand’era giovane ed è così brava che al posto di un mister hanno chiamato lei: così è arrivata Miss Mindy!
Le più brave sono le prime tre.
La loro squadra si è formata due anni fa ed è la squadra più brava oltre alle Sistors, dove la giocatrice numero 1 è la bravissima cugina di Libilla: Lobi.
Miss Mindy chiama Libilla, Gemma e Yoghina e dice loro: “Ora dovete andare in un’altra squadra. Siete troppo brave. Non ci sono ragazze di 15 anni, della vostra età brave quanto voi. Dovete andare in una squadra professionista: la squadra di nome Spot”.
Yoghina interviene: “Ma le magliette hanno dei bruttissimi colori: fucsia e arancione!”
Gemma aggiunge: “E poi nelle IX chi giocherà al nostro posto?”
Libilla dice: “E poi tra cinque giorni ci sarà la grande partita IX contro Spot. Io voglio giocare con le mie compagne, e non con quelle smorfiose delle Spot”.
Miss Mindy risponde ad ogni loro domanda: “Che importa se hanno brutti colori?! Basta che siano alla vostra altezza. Al posto vostro verranno delle nuove ragazze di 14 anni. E poi dovete diventare delle Spot per giocare meglio.”
“Uff” sbuffa sottovoce Gemma; poi vanno verso la fermata dell’autobus.
Subito Clara telefona a Yoghina e dice: “Le nuove ragazze si chiamano Sibilla, Gegegia e Yogurthina”
“Che bei nomi” dice Yoghina e poi riattacca con un ciao sbuffante.
Ecco, in palestra, dalle Spot, le accoglie un mister di nome Mery-o che dice: ”Benvenute!”
Le nostre tre amiche non lo guardano neanche in faccia e si mettono le divise delle Spot, che porge loro una giocatrice dai capelli rossicci e gli occhi quasi grigi.
Ebbene, è la numero 6: Pina Perugina.
La numero 1 è una ragazza dai capelli biondo- sbiadito e gli occhi neri, molto grossa e molto alta, di nome Fausta Figlioletti.
E poi ci sono le altre: Pincapallina, Genoveffa, Apollonia, Eustorgia, Eupremia, Policarpa, Zenobia, Gustava, Stèfana e Ranocchietta.
Sono tutte alte più di un metro e novanta e hanno spalle enormi.
A Libilla sembra che non siano brave in niente, tranne che a fare muro e a urlare “Muro acquatico” e fare il gesto del pesce quando si buttano per terra in bagher.
Per fortuna Gemma ha già un piano.
Chiama Yoghina e Libilla e dice loro: “Dobbiamo fare finta di non essere brave per niente, così ci rispediscono immediatamente a casa e noi possiamo riprendere a giocare con le IX!”
Allora comincia l’allenamento e viene organizzata una partita.
Libilla, Gemma e Yoghina giocano malissimo: Libilla inciampa sul pallone; Gemma, invece di prendere la palla di bagher, mette le mani a tondo e il pallone ci passa attraverso; Yoghina manca clamorosamente il pallone in schiacciata e si impiglia alla rete.
Alla fine della partita Mister Mery-o telefona a Miss Mindy e le dice: “Ma questa sarebbe la bravura delle tue tre?”
“Perché?” chiede Miss Mindy.
“Hanno fatto un disastro nella prima partita. Ho fatto pari contro dispari ed è stato un vero casino. Io te le rimando indietro!”
Miss Mindy dice arrabbiata: “Ma sono più brave di tutte le altre!”
Mister Mary-o risponde altrettanto arrabbiato: “Se loro sono le più brave di tutta la squadra, posso immaginare che asine sono le altre!”
Miss Mindy risponde con pazienza: “Prova a mandarle nella squadra delle Sistors, che è la squadra più forte del mondo!”
“Figurati” dice Mister Mary-o, “faranno pena! Comunque gliele mando con piacere, così me le levo di mezzo”.
A quel punto Mister Mary-o telefona a Mister Milo, il Mister delle Sistors e quindi chiede: “Pronto? Ah è lei, Milo… Ti posso affidare le prime tre delle IX?” poi aggiunge “ah sì va bene… quindi domani lei non può… allora gliele porto dopodomani”.
Quella sera le tre ragazze, dispiaciute che il piano era fallito, scappano dalla palestra e cercano di arrivare a piedi fino alla palestra dove si allevavano le IX.
Erano sette chilometri!
Dovevano fare molto piano perché tutta la città dormiva.
Yoghina stanca dice: “Non ci possiamo fermare un attimo, che so… magari a mangiare un panino”
Gemma dice: “Yoghina ha ragione. Però dobbiamo fermarci, che so… per rifarci il trucco”
Libilla dice: “Niente affatto! Abbiamo deciso una cosa? La facciamo!”
Dopo un minuto erano sedute su una panchina a mangiare panini e a rifarsi il trucco.
Libilla sbuffa: “Va bene, mi avete convinto. Però ci dobbiamo comunque sbrigare. La partita Spot contro IX è domani”.
“Uffa” sbuffa assonnata Yoghina, “è grazie a quella malefica Miss Mindy che ci siamo cacciate in questo guaio!”
Gemma fa: “Chi se ne importa; basta che abbiamo i nostri bracciali e le nostre collanine”
“Ma sapete pensare solo a quello?” ribatte Libilla, mentre Yoghina inizia a russare per la stanchezza. E dopo grida nell’orecchio di Yoghina: “Sveeeeegliaaaa!”
Le tre riprendono a camminare e arrivano all’alba alla palestra delle IX. Di nascosto Yoghina e Gemma entrano e gridano “Siamo tornate!!!”, ma dopo un secondo Libilla tappa loro la bocca.
“Potrebbero sentirci, mentre si devono riposare per la partita di domani” sussurra Libilla.
“Ma noi non ci siamo riposate” dice a bassa voce Yoghina.
“Allora riposiamoci adesso” dice Libilla.
Le tre si stendono nel campo di pallavolo e si addormentano.
Dopo un paio d’ore si sente un urlo: “Ma che ci fate voi tre qui, Svegliatevi”.
Era Miss Mindy; le stava guardando dormire insieme a tutte le altre IX.
Subito Yoghina si sveglia di scatto e dice: “Sì sì sono presente, signora professoressa, ma non mi interroghi”
Tutte ridono e fanno svegliare Gemma che dice: “Ah sì, grazie. Sono bella, vero?”
Le altre ridono ancora e fanno svegliare Libilla che si alza di scatto e dice: “All’attacco! Vinceremo noi anche questa volta!!”
Le altre ridono da far venire le crepe ai muri.
“Ma allora siete tornate” dice Miss Mindy.
“Sì e vinceremo anche questa volta” dice Libilla. “Perché siamo una squadra, no?”
Sibilla, Gegegia e Yogurthina se ne vanno e adesso incomincia il bello.
Finalmente una partita dove giocano tutte e dove Libilla, Gemma e Yoghina hanno una stessa divisa, la divisa delle IX.
Ora sì che si può fare una vera partita.
La squadra è di nuovo unita.

IL FANTASMA DEL PARTENONE

Ida stava guardando la televisione: ci stavano due bambini, di cui uno chiese: “Cosa? E perché dovrei credere ai fantasmi?”.
La sorellina più piccola di Ida, Lia, si stava per sedere sul divano insieme a sua sorella; la mamma, Eva, da dietro il divano, chiese: “Idaaa?”.
Visto che Ida non rispondeva, la mamma le andò vicino e esclamò: “Dai Ida, lo sai che domani è il tuo compleanno e che andremo con la tua amica Ada a visitare il Partenone; quindi non vedere la tv se no domani non potremo partire presto perché tu dormirai”.
Ida rispose: “Va bene, mamma”.
A quel punto Lia arrossì e si sentì una puzza.
Ida, la mamma e Lia andarono in cucina; Ida bevve il solito latte con mezzo cucchiaino di zucchero e pensò a occhi chiusi: ‘Chissà se sarà divertente visitare il Partenone…’.
In quel momento la mamma gridò: “Liaaaa!!! Certo, dovevi proprio farti la cacca sotto???”
Lia diventò fucsia.
Il giorno dopo era il compleanno di Ida.
Ada le regalò il dvd di High School Musical 25.
“Ti piace il mio regalo?” chiede Ada.
“Sìììììììì!!!!!” esclamò Ida.
Era da tanto che desiderava quel regalo…
Poi lei e Ada andarono davanti al Partenone.
C’era un cartello con scritto:
VIETATO ENTRARE NEL PARTENONE
PER PROBLEMI TECNICI

Arrivò una guida con un fischietto al collo e la collanina di tessuto con scritto “fischietto”.
La guida disse: “Soltanto i festeggiati vengono con me. Gli altri tornano in albergo!”
Ida salutò la mamma Eva, l’amichetta Ada, la sorellina Lia che stava dormendo in braccio a papà Ugo e, ovviamente, anche papà Ugo.
Però Ida, era triste perché non poteva entrare dentro il Partenone.
Vide un paio di volte il Partenone; fece un passo per seguire la guida, ma poi vide qualcosa vicino al Partenone.
Era…
Era…
Era un fantasma!!
Il fantasma si avvicinò e le chiese: “Ehi tu, bambina, ci tieni tanto ad entrare dentro al Partenone?”
“C-c-certo che ci-ci tengo a… a… a… ad entrare l-l-l-l-lììì” disse tremando Ida. E soggiunse: “E tu c-c-chi sarest-saresti?”
Il fantasma si avvicinò a lei e si indicò: “Io sono un fantasma: che non mi vedi? Tu non urlare però. Se non griderai ti porterò dentro la mia casa, il Partenone!”
I due passarono attraverso le colonne: lì dentro c’erano un water, un bidet, un sapone per lavarsi, un buco da dove uscivano delle palline di meringa che andavano poi sul tavolo, un tavolo, un letto matrimoniale con scritto “Pibol”.
Il fantasma svolazzava su e giù chiacchierando: “Tutto questo è stato costruito con il cartasma, la cosa più dura del mondo, tranne il letto di stoffa e qualche pallina di meringa”.
Ida guardò le palline di meringa come se fossero un verme attorcigliato da cui nasce un ragno.
Il fantasma prese una pallina di meringa e disse indicando il buco per terra: “Queste meringhe sono deliziose e si formano da quel buco”.
Ida guardò il buco per terra come se fosse un ragno attorcigliato da cui nasce un verme.
Poi il fantasma indicò il letto: “Questa scritta qua sopra, Pibol, era il miglior fantasma della galassia”.
Ida guardò il letto come se fosse un ragno e un verme attorcigliati tra loro da cui nasce un vermagno o un ragnerme, cose così, insomma.
Ida si slacciò le scarpe e si sdraiò sul letto e chiese al fantasma: “Come ti chiami?”
Il fantasma da un bel sorrisone diventò triste e rispose: “Ivo”
“Come mio fratello di un anno che è affogato in un fiume…”
“Sai” spiegò il fantasma “Ivo si è salvato, ma poi una strega MI ha trasformato in un fantasma”.
Ida scese dal letto e chiese seriamente: “Con questo vorresti dire che tu sei mio fratello Ivo?”
Ivo emise un filo di voce e rispose semplicemente: “Sì!!!”
“C’è un modo per farti tornare umano?” chiese nuovamente Ida.
Ivo rispose nuovamente: “Sì. Tu dovresti stare con me tutto il giorno, ma tu… tu … non vuoi… vero?”
“Chi l’ha mai detto” ribattè la bimba. “Sono passati solo tre mesi da quando sei caduto nel fiume e quindi potrò aiutarti… Sono ancora in tempo per farti avere un anno”.
Ivo rispose grattandosi la testa: “Grazie I…Iv, nooo, I…”
La bambina rispose semplicemente “Ida”.
Ida aveva fame e chiese al fantasma: “Ci sono solo queste palline di meringa da mangiare?”
Il fantasma rispose con una meringa in bocca: “grfff, sì”
Ida sorrise: “Allora balliamo”
Ivo rispose: “Ok”
Dopo aver ballato Ida chiese: “Ora possiamo uscire a mangiare qualcosa di diverso dalle meringhe?”
Ivo rispose: “Ok, però ti accompagno io, se no ti perdi!”
Arrivarono ad un macellaio.
“Vorrei un petto di pollo” disse Ida.
Il fantasma si nascose dietro un angolo.
Ivo la chiamò: “Se parli in italiano, non ti capisce. Devi dirle: Giulan ru fril gi tilli!”
“Giulan ru fril gi tilli!” ripeté Ida alla signora.
La signora sbattè sul banchetto un pollo.
“Come si dice ‘quanto le devo’?” disse Ida tornando nell’angolo dove c’era Ivo.
“Frul fa ging” disse Ivo.
“ Frul fa ging?” chiese Ida alla signora.
“Trille!” rispose la signora sorridendo.
Ida riandò all’angolo e col fiatone chiese a Ivo: “Che significa Trille?”
“Cinque” rispose semplicemente Ivo.
Ida pagò con due monete da due Euro e una moneta da un Euro.

Subito dopo nel Partenone…si sentì: “Brggghh!!!”
“Ci siamo spazzolati tutto il pollo!” rise Ida.
“Ma non ci sono lavandini con spazzolini e dentifrici qua?” chiese Ida.
“Certo, guarda qua!” Ivo premette un pulsante rosso sul bidet e … spoll …, ecco un lavandino con due dentifrici e due spazzolini!
Dopo essersi lavati i denti andarono a letto.
“Domani ritornerai umano?” chiese prima di addormentarsi Ida.
“Soltanto se starai con me altre tre ore!” rispose Ivo.
In quel momento Ida si ritrovò a chiacchierare con suo fratello Ivo, umano.
Stavano passeggiando in un prato, stavano ridendo, ma Ivo si sporse troppo da una ringhiera e cadde in un fiume.
Ida gridò: “Nooooooooooooooooooooooo!! Ivoooooooooooooooooooooooooooo!!!”.
“No, Ivo!” gridò Ida nel letto.
Ivo fantasma le disse: “Ehi Ida calma, che è successo, stavi urlando?”
“Ah ma allora era un sogno” disse Ida stropicciandosi l’occhio destro.
“Certo che era un sogno, o perlomeno un incubo!” disse Ivo.
“Ehi sei quasi umano” disse Ida scesa dal letto.
In effetti a Ivo erano cresciute le gambe e dei capelli marronbiondi.
Usciti fuori dal Partenone, Ivo e Ida si trovarono davanti una mucca, che, mentre faceva il latte, alzava la zampa anteriore sinistra e la zampa posteriore sempre sinistra.
“Vedi quella mucca?” chiese Ivo. “Lei sta incominciando a fare il latte per noi; l’ho avvertita di farlo per noi quando tu dormivi”.
Dentro il Partenone, bevendo il latte che la mucca aveva fatto, Ivo diventava sempre più rosa e le braccia attaccate, per ora, direttamente al collo.
“Io metto la meringa nel latte come se fosse un biscotto!” disse Ida immergendo la meringa come un sommergibile.
Dopo essersi lavati i denti, aver digerito e aver comprato un costume, i due si avvicinarono ad una piscina che stava vicino al Partenone e alla mucca.
Ida si tuffò “Guarda che so fare sott’acqua!”
“Ok” disse il fantasma.
Ida fece la verticale, poi la ruota, poi la capriola in avanti e poi quella all’indietro.
“E adesso guarda cosa faccio io!” esclamò il fantasma.
“No!” lo fermò Ida, “sei diventato un bimbo!”
I due, dopo aver comprato una scamiciata ad Ivo, corsero verso l’albergo.
La mamma, con un sospiro di sollievo, corse incontro a Ida.
“Ah per fortuna… quindi non eri scomparsa!!”
“No, mamma e guarda chi c’è!”
Ivo salutò la mamma con la mano.
Poi corse in braccio alla madre emozionatissima.
La mamma esclamò: “Ivoooooo!!!!! Ida, come hai fatto a trovarlo?”
“Idaaa!!!” esclamarono Lia ed Ada venendo incontro alla bambina.
Arrivò anche il papà che rimase pure lui senza parole.
E tutti vissero fantasmati e cartasmati!!!!